NOTE DETTAGLIATE SUL DIRITTO D'AUTORE

 

 


Testo riservato ai soci TAU Visual


 

DIRITTI DEL FOTOGRAFO E DEL CLIENTE

(diritto d'autore, riutilizzo delle immagini, proprietà originali, ritratti, eccetera)

 

Riassunto operativo ad uso del Socio TAU Visual

 

Schemino molto concreto e molto riassuntivo


DI CHI SONO I DIRITTI DI RIUTILIZZO DELLE IMMAGINI?
In origine i diritti sono del fotografo, ma nel momento in cui avviene una cessione a qualsiasi titolo, i diritti passano - in diversa misura - al cliente.
 

FOTO SU COMMISSIONE

a) Se c'è traccia di accordi scritti, valgono le cessioni concordate. 
Al cliente vanno i diritti concessi, al fotografo restano tutti gli altri (legge 633/41 e succ. modifiche).

b) Se NON ci sono accordi scritti, normalmente i diritti di sfruttamento passano al cliente committente (che acquisisce i diritti di sfruttamento "nei limiti e con le finalità del contratto", dice la legge. Niente finalità indicate, niente limiti al trasferimento dei diritti (articoli 87 ed 88 legge 633/41)

c) Un'eccezione al caso b) è quando non ci sono accordi scritti e il committente è la stessa persona soggetto di un ritratto fotografico (matrimonio, foto in studio, eccetera). In questo caso, in assenza di patti scritti i diritti restano al fotografo, in concomitanza con dei diritti congiunti al cliente. E' quindi corretto che i negativi restino al fotografo e che questi chieda un compenso per cederli definitivamente al cliente che li chiede (art. 98 legge 633/41 e sentenza Corte Cassazione 4094 del 26.6.1980).

FOTO NON ESEGUITE SU COMMISSIONE

Se le immagini sono realizzate autonomamente e vengono richieste dal cliente DOPO la loro esecuzione che è avvenuta per volontà del fotografo (fotografia d'archivio, servizi già esistenti non commissionati, eccetera), i diritti sono sempre del fotografo, e passano al committente solamente per come sono stati ceduti (cioè, in forza di una cessione individuata per iscritto). Anche in questo caso è quindi importante indicare in fattura con esattezza quali diritti si stanno vendendo.

Il trasferimento dei diritti deve essere provato per iscritto, a meno che non siano stati consegnati gli originali, il che trasferirebbe tutti i diritti, se si fosse in assenza di diverse prove scritte. Quindi:

a) Se c'è traccia di accordi scritti, il cliente acquista i diritti d'uso che sono descritti in fattura e tutti gli altri restano al fotografo.

b) Se non c'è traccia di accordi scritti:

b1) ... e gli originali sono in mano al fotografo. il cliente non ha acquisito nessun diritto, che sono rimasti al fotografo.
b2) ... e gli originali sono stati consegnati al cliente senza alcuna documentazione scritta, i diritti sono stati trasferiti al cliente assieme agli originali (articolo 89 legge 633/41)

SI POSSONO PUBBLICARE I RITRATTI?

Normalmente occorre una release, cioè un'autorizzazione scritta della persona ritratta. In assenza di autorizzazione scritta è possibile che la persona ritratta si opponga alla pubblicazione (anche se era consenziente all'esecuzione della ripresa, questo non significa che lo fosse anche alla pubblicazione della stessa)

Fanno eccezione alcuni casi (cioè non occorre autorizzazione scritta):

a) Personaggi già noti (personaggi pubblici) se la foto è pubblicata con fine prevalente di informazione (usi giornalistici e di cronaca) e non lede la dignità.

b) Fotografie in cui il soggetto NON è il ritratto della persona, ma la persona è semplicemente riconoscibile all'interno di un contesto pubblico (piazza, manifestazione, paesaggio, grande gruppo, eccetera); in pratica, quando il soggetto è un luogo od un avvenimento, e non la persona.

 

Esame dettagliato

 

1 Di chi sono gli originali delle immagini?

1.1 Di chi sono gli originali delle foto fatte spontaneamente

1.2 Di chi sono gli originali delle foto commissionate

1.3 Di chi sono gli originali delle foto di ritratto / matrimonio

2 Deve essere citato il nome dell’autore fotografo?

2.1 Casi in cui è obbligatoria la citazione del nome – casi in cui non lo è

2.2 Cosa posso fare se il nome doveva essere citato e non lo è stato

3 Come posso proteggere l’immagine fotografica che ho realizzato?

3.1 Il diritto d’autore delle foto e la sua protezione in generale

3.2 Come ottengo il “copyright”?

3.3 Cosa posso fare per proteggere le mie foto?

3.3.1 Protezione dell’immagine in generale

3.3.2 Protezione dell’immagine digitale

4 Posso proteggere l’idea che sta dietro alle mie foto?

5 Cosa posso fare se il cliente non mi ha pagato?

6 I ritratti sono pubblicabili liberamente?

6.1 Casi in cui è possibile / non è possibile pubblicare il ritratto

6.2 Modello di release (autorizzazione alla pubblicazione del ritratto)

7 Privacy e fotografia

7.1 In genere cosa è cambiato con la legge sulla privacy

7.2 Privacy ed archivi fotografici


 

1 Di chi sono gli originali delle immagini?

Il problema della "proprietà" del negativo è stato ingiustamente caricato di importanza.

Molti fotografi paiono concentrare l'interesse su di un aspetto del problema - appunto, la proprietà del negativo - che è in realtà un aspetto secondario, solo derivato da quello che è il punto determinante: il tipo di cessione di diritti di sfruttamento economico.

In parole semplici, il problema risiede in questo; il negativo (o la diapositiva) in origine appartiene, evidentemente, al fotografo. Dato che, in sé, l'originale non ha valore, se viene ceduto ad altri, ciò avviene perché a questi si riconosce il diritto di far uso di quel negativo.

In sostanza, il negativo (o un equivalente, come la diapositiva originale) viene ceduto alla persona che ha il diritto di farne uso, per il tempo che tale diritto permane e per gli usi che si sono concordati. Se il fotografo cede il diritto di utilizzo per la realizzazione di un catalogo, il cliente ha diritto a detenere l'originale per il tempo necessario a questo uso; per essere fiscali, se la concessione del diritto di utilizzo è della durata di un anno, il cliente potrebbe trattenere il negativo per questa durata di tempo.

Se, invece, il fotografo cede i diritti di utilizzo senza limiti di tempo, il cliente ha diritto a trattenere il negativo per questo periodo: cioè, senza limiti di tempo.

Non si tratta, dunque, di stabilire "di chi è il negativo", quanto piuttosto: "chi, in questo momento, gode dei diritti di sfruttamento economico dell'opera?".

E evidente che, se il cliente acquista il diritto di utilizzo di un'immagine, scaduto il termine di sua competenza deve restituire l'originale, mezzo col quale tale diritto si esercita. Ci si trova nella stessa situazione di chi prende in affitto un appartamento per una stagione; al termine della stagione restituirà le chiavi, e non ha senso che si impunti per trattenerle. Quello che è scaduto è il diritto all'uso dell'appartamento, ed è sciocco discutere sul possesso del mazzo di chiavi.

Tuttavia, in alcuni casi il cliente può giungere ad ottenere la cessione di tutti i diritti di utilizzo, praticamente senza che il fotografo se ne renda conto. La situazione è simile a quella nella quale un proprietario sprovveduto firmi l'atto di cessione di proprietà dell'appartamento, facendosi pagare l'equivalente di un solo anno di affitto. A quel punto, il cliente ha acquistato l'appartamento ed il diritto di usarlo, e anche in questo caso il problema non è tanto il fatto di possedere o meno le chiavi di quella casa, quanto piuttosto il fatto di essersi fatti imbrogliare vendendo a poco prezzo qualcosa di maggior valore.

1.1 Di chi sono gli originali delle foto fatte spontaneamente

Il fotografo è in origine titolare dei diritti di utilizzo dell'immagine e, di conseguenza "proprietario" del negativo (1 Di chi sono gli originali delle immagini?)

Tutto il blocco dei diritti connessi si acquista semplicemente per il fatto di aver realizzato la fotografia (art. 6 della Legge). A differenza di altre opere creative, per le immagini fotografiche è del tutto superfluo il deposito di copie dell'opera presso l'Ufficio della proprietà artistica, scientifica e letteraria (art. 105). In pratica, l'autore non deve adempiere a nessuna particolare formalità per essere considerato come titolare dei diritti.

Quando si reputi che potrebbe risultare difficile dimostrare il fatto di essere stati esecutori dell'opera, ci si procurino prove della paternità degli scatti, come ad esempio:

a) marchiare i bordi del fotogramma

b) incidere tacche di identificazione sui bordi della finestrella di esposizione delle proprie fotocamere

c) effettuare foto di scena nel caso di set complessi.

 

ATTENZIONE: se l’immagine viene tuttavia realizzata SU COMMISSIONE i diritti di sfruttamento e, con essi, la proprietà degli originali passano al committente nei limiti e con le finalità degli accordi. Per questo motivo E’ INDISPENSABILE specificare in preventivi, buoni di consegna e/o fattura QUALI SONO LE DESTINAZIONI D’USO DELLE IMMAGINI, per evitare che al committente vengano trasferiti i diritti di sfruttamento senza limiti.

Tutti questi temi sono trattati in forma rapida e chiara in appositi tutorial video, che trovi catalogati a:
www.fotografi.org/youtube
oppure a:
www.youtube.com/tauvisual

 

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1.2 Di chi sono gli originali delle foto commissionate

Per le opere commissionate e non realizzate spontaneamente, ci si rammenti che la procedura è alquanto differente rispetto a quella vista negli altri casi. Infatti, desiderando conservare dei diritti sulle fotografie realizzate, è indispensabile porre in qualche modo per iscritto una limitazione all'uso dell'immagine.

Diversamente, dopo aver percepito il pagamento da parte del cliente, tutti i diritti dell'immagine realizzata su commissione passano automaticamente al cliente (art. 88); e questo significa che il cliente diviene anche "proprietario" del negativo.

Stessa situazione si verifica quando il fotografo esegue spontaneamente una ripresa su oggetti di proprietà del futuro cliente (art. 88); ad esempio, quando il fotografo effettua la ripresa di un'automobile d'epoca e poi riesce a vendere la fotografia al proprietario dell'automobile.

Esiste tuttavia un articolo della Legge, il numero 89, che sembra concepito per offrire al cliente un'ulteriore possibilità per ottenere dal fotografo sprovveduto tutti i diritti, senza che egli se ne avveda.

L'articolo, infatti, prevede che "la cessione del negativo o di analogo mezzo di riproduzione della fotografia comprende, salvo patto contrario, la cessione dei diritti previsti all'articolo precedente, sempre che tali diritti spettino al cedente".

L'affermazione, è evidente, ha un peso significativo. Infatti, pur trattandosi di norma in esplicito riferita alle "semplici fotografie" (foto non creative) consente di ottenere tutti i diritti di un'immagine semplicemente dimostrando di aver ricevuto dal fotografo i negativi o gli originali; unico modo per evitare l'applicazione dell'articolo è la presenza di un "patto contrario", cioè di un diverso accordo scritto.

Questa disposizione, unita a quelle dell'articolo precedente, fanno sì che, nel caso di semplici fotografie ed in assenza di particolari accordi scritti, l'originale e tutti i diritti siano automaticamente del cliente pagante, quando:

a) La foto sia stata commissionata dal cliente.

b) La foto non sia stata direttamente commissionata, ma ritragga cose in possesso del cliente, e sia stata a questo venduta in seguito.

c) La foto non sia stata necessariamente commissionata appositamente, né ritragga cose del cliente ma, semplicemente, il fotografo abbia ceduto al cliente il negativo, percependo un compenso.

Una casistica estremamente vasta, che consiglia - evidentemente - di porre nero su bianco eventuali accordi differenti.

Riassumendo: ATTENZIONE: se l’immagine viene realizzata SU COMMISSIONE i diritti di sfruttamento e, con essi, la proprietà degli originali passano al committente nei limiti e con le finalità degli accordi. Per questo motivo E’ INDISPENSABILE specificare in preventivi, buoni di consegna e/o fattura QUALI SONO LE DESTINAZIONI D’USO DELLE IMMAGINI, per evitare che al committente vengano trasferiti i diritti di sfruttamento senza limiti.

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1.3 Di chi sono gli originali delle foto di ritratto / matrimonio

Vedi una trattazione specifica a www.fotografi.org/originali

Unica situazione in cui i diritti e la proprietà del negativo non passano al committente è quello in cui il soggetto dell'immagine... sia il cliente stesso.

Con una catena logica piuttosto contorta, infatti, la Legge giunge a sancire come, nel caso che "l'oggetto" ritratto sia il committente stesso, la proprietà del negativo resta al fotografo.

Infatti, all'articolo 98 della Legge si indica come la persona ritratta possa pubblicare o riprodurre la sua immagine senza bisogno di consenso del fotografo. Ora, il fatto che si indichi come non necessario il "permesso" alla pubblicazione implica necessariamente che il diritto di uso di quella fotografia non appartenga già, automaticamente, alla persona ritratta, che è comunque dispensata da chiedere l'autorizzazione. Se in questo caso valesse la regola generale dell'articolo 88 (diritti passati automaticamente al committente), non avrebbe senso specificare che il titolare dei diritti è dispensato dal chiedere l'autorizzazione a terzi. In realtà, evidentemente, la persona ritratta non è dunque considerata proprietaria di tali diritti e, dunque non è proprietaria del negativo.

Nel caso SPECIFICO della fotografia di ritratto, e quando la persona ritratta coincida con il committente (situazione che si verifica nella fotografia di matrimonio e di ritratto in studio) gli originali NON sono totalmente del committente, poiche' anche il fotografo detiene dei diritti residui e, quindi, e' assolutamente legale e corretto che trattenga presso di se tali originali.

Conferma questo fatto la nota sentenza della suprema corte di Cassazione civile, sez I, 28/06/1980 n. 4094, reperibile - fra gli altri - in Giust. civ. Mass. 1980, fasc. 6. Foro it. 1980, I, 2121, Giust. civ. 1980, I, 2101, che recita: "Nell'ipotesi di ritratto fotografico eseguito su commissione, regolata dall'art. 98, I. 22 aprile 1941 n. 633 sul diritto d'autore, il committente, diversamente da quanto stabilito dall'art. 88 comma 3 di detta legge per le fotografie di cose in suo possesso, non acquista il diritto esclusivo di utilizzazione della fotografia, il quale rimane al fotografo, pur concorrendo con quello della persona fotografata o dei suoi aventi causa di pubblicare e riprodurre liberamente la fotografia medesima, salvo il pagamento al fotografo di un equo corrispettivo nel caso che la utilizzino commercialmente. Nell'ipotesi indicata, pertanto, ove manchi un diverso patto, deve ritenersi che il fotografo conserva la proprietà del negativo e non è tenuto a consegnarlo al committente."

NON E' QUINDI VERO, che i negativi debbano essere sempre - per legge - consegnati alla coppia di sposi.

(I negativi restano invece al committente - in mancanza di patti scritti - negli ALTRI casi, ma NON nel caso di fotografia di ritratto del committente).

E' invece vero che, dato che il fotografo - ai sensi dell'articolo 98 della legge 633/41 sul diritto d'autore, conserva in questo specifico caso dei diritti residui, E IN ASSENZA DI PATTI ESPLICITI e' corretto che i negativi restino allo studio fotografico, purche' il fotografo eserciti i suoi diritti correttamente e lasciando agli sposi la possibilita' di ritirare i negativi, se desiderato, pagando un equo compenso.

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2.1 Casi in cui è obbligatoria la citazione del nome – casi in cui non lo è

Concretamente, come risaputo, la legge (n.633/1941, Dpr 19/79 e Dlgs 154/97) prevede la distinzione delle immagini fotografiche dividendole in “immagini creative” e “semplici fotografie.

Dato che fra "immagini creative" e "semplici fotografie" non è stata tracciata (né può esserlo) una netta linea di demarcazione, per ogni singola fotografia occorrerebbe valutare se esista effettivamente una componente caratteristica non tanto della abilità e capacità professionale del fotografo, quanto del suo apporto creativo, inventivo. Occorre, in pratica, che sia possibile dimostrare che l'immagine contenga elementi di interpretazione creativa, e non solamente di abilità tecnica.

La legge, infatti, prevede che la citazione dell'autore sia obbligatoria (art. 20 della legge 633/41 per come modificata da Dpr 19/79), ma solo nel caso dell'immagine creativa. Se l'immagine è di questo genere, il nome dell'autore va citato in ogni caso, anche quando il cliente abbia sostenuto tutte le spese di realizzazione, ed il fotografo abbia venduto tutti i diritti di sfruttamento. Se, invece, si è dinanzi ad immagini non creative, l'obbligo alla citazione dell'autore non sussiste mai, ad eccezione di espliciti accordi scritti in tal senso.

 

E stato con l'aggiornamento della Legge (di per sé datata 1941) che, nel 1979, si è conferita una maggiore dignità all'opera fotografica.

Così, grazie all'articolo 20 della Legge nella sua attuale forma, l'utente dell'immagine è tenuto ad indicare sempre l'autore di immagini creative nelle forme di utilizzo.

Non solo. All'articolo 21 troviamo un'affermazione che dà particolare forza alla posizione dell'autore; vi si sancisce, infatti, che anche a dispetto di un differente precedente accordo, l'utente della fotografia è obbligato alla citazione dell'autore, quando questi lo desideri.

L'autore ha anche il diritto di impedire modifiche ed alterazioni all'opera (art. 20).

Una puntualizzazione in questo senso. Molti fotografi suppongono di poter intervenire, in nome di questo articolo, contestando anche le minime varianti e le modifiche minori: un riquadro dell'immagine rifilandone i bordi, la cattiva stampa, il passaggio in B&N di una foto a colori, l'inserimento di un titolo.

Attenzione: la Legge indica che il fotografo può opporsi a "qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione e ad ogni atto a danno dell'opera stessa che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione".

Dunque, non contestazioni in semplici fatti minori di gusto o sensibilità: il testo parla di modifiche che possano essere lesive dell'onore o della reputazione del fotografo, non di variazioni che egli possa non gradire appieno.

Quando, invece, si sia accettata (per iscritto) la realizzazione di una modifica alla propria fotografia, non è più possibile ritrattare la concessione (art. 22).

Questi diritti, detti diritti morali, sono inalienabili.

Non possono essere venduti, non vengono ceduti con i diritti di utilizzo economico. Così, anche se il cliente avesse sostenuto le spese per la realizzazione dell'immagine, acquistato tutti i diritti in ogni campo, e fosse divenuto in tal modo proprietario dell'originale, permarrebbe sempre la possibilità, per il fotografo, di pretendere la citazione del suo nome come autore (art. 20).

2.2 Cosa posso fare se il nome doveva essere citato e non lo è stato

Certamente, è giusto lamentare con l’utilizzatore la mancata citazione del nome dell’autore, ai sensi degli articoli 20 e seguenti della Legge 22 aprile 1941. n.633 (e relative modifiche apportate dal Decreto del Presidente della Repubblica n.19 del 8/1/1979, pubblicato su Gazzetta Ufficiale del 30/1/1979, n.29 e, successivamente, Dlgs n. 154 del 26 maggio 1997 (attuazione direttiva 93/98/Cee), su Gazzetta Ufficiale n. 136 del 13 giugno 1997.

Va ricordato che tale obbligo di legge alla menzione del nome dell’autore sussiste solo per le fotografie di carattere interpretativo e creativo.

Al di là della formale lamentela, va valutata con attenzione quanto questo comportamento abbia potuto ledere gli interessi del fotografo. In diversi casi analoghi, il giudice si è trovato infatti nell’imbarazzo di appurare se effettivamente si potesse sostenere l’esistenza di un danno economico e – se sì – come questo potesse essere quantificato. Per essere equo, essendo il danno non accertabile nella sua esistenza e non quantificabile, il giudice tende ad imporre al cliente la pubblicazione di un “errata corrige” o comunque di una nota che rettifichi l’errore, ottenendo così a favore del fotografo un vantaggio non certo e non quantificabile, come pure non certo e non quantificabile era il danno da lui subito.

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3.1 Il diritto d’autore delle foto e la sua protezione in generale

Legge sul diritto d’autore: Legge 22 aprile 1941. n.633 (e relative modifiche apportate dal Decreto del Presidente della Repubblica n.19 del 8/1/1979, pubblicato su Gazzetta Ufficiale del 30/1/1979, n.29 e, successivamente, Dlgs n. 154 del 26 maggio 1997 (attuazione direttiva 93/98/Cee), su Gazzetta Ufficiale n. 136 del 13 giugno 1997, ed in ultimo legge 248 del 28 agosto 2000, intitolata “Nuove norme di tutela del diritto d'autore”, pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 4 settembre 2000 n. 206.

 

I Legislatori si sono trovati dinanzi ad un dilemma imbarazzante. La Legge era prevista per proteggere le opere d'Autore, ed il loro guizzo di creatività, un "surplus" non presente in altri lavori.

Tuttavia, mentre le formule tradizionali di espressione artistica non creano alcun problema, la nuova "arte" fotografica era difficilmente inquadrabile, dato che con il mezzo fotografico è, sì, possibile produrre opere frutto di creatività, ma anche immagini ottenute pedissequamente, senza alcun apporto creativo. In sostanza, la Legge forgiata per mezzi espressivi come la musica, la letteratura, la scultura (creative per loro stessa natura) si è trovata a dover "incasellare" un'arte in grado di produrre capolavori o prodotti insignificanti, alla stessa stregua dei bulloni del nostro esempio.

La legge tenta di togliersi dall'impiccio con una salomonica divisione, riscontrabile al punto 7 dell'art. 2, che indica come protette in qualità di opere dell'ingegno: "Le opere fotografiche e quelle espresse con procedimento analogo alla fotografia, sempre che non si tratti di semplice fotografia protetta ai sensi delle norme del capo 5, titolo 2".

Concretamente, la Legge viene dunque pensata come completamente applicabile solo alle fotografie "creative" (opere dell'ingegno); per le altre immagini fotografiche viene appositamente redatto un titolo della Legge, che dia indicazioni e disposizioni "sui diritti connessi all'esercizio del diritto d'autore".

In sostanza, qualcosa di affine, abbinato per completezza, e non perché rientrante nella vera sfera di protezione del vero e proprio diritto d'autore. Molte voci, specialmente da parte degli operatori fotografici, si sono levate a protesta per la distinzione fra "Opera dell'ingegno" e "Semplice fotografia", divisione concettuale confusa e fonte di incomprensioni. Tuttavia, alla luce dello spirito della Legge testé esposto, è più che comprensibile il punto di vista del legislatore, chiamato a conciliare due aspetti quasi fra loro inconciliabili.

Il problema sta nel fatto che molti richiedono alla Legge sul diritto d'autore una funzione (e cioè la protezione della professionalità e del lavoro del fotografo) che non è l'intento della Legge, chiamata a proteggere l'artista, e non il tecnico.

LE OPERE DELL'INGEGNO

Ad ogni buon conto, pur nelle incomprensioni accennate, la Legge ha aspetti utilizzabili positivamente anche in tutti i settori commerciali, sia dal fotografo che dall'utente.

È comunque indispensabile sfruttare oculatamente le direttive della Legge, dato che si tratta di far funzionare" un testo in situazioni diverse da quelle per le quali era stato ideato. Abbiamo dunque visto come la Legge possa proteggere appieno le immagini "opera dell'ingegno", cioè quelle fotografie dove, indipendentemente dalla perizia tecnica, sia possibile riconoscere un apporto creativo. Il fotografo che dunque intenda produrre immagini che possano essere protette a tutti i sensi dalla Legge dovrà curare che le sue fotografie contengano sempre, quando possibile, una traccia del proprio gusto stilistico, o di studio compositivo. Ovviamente, determinare se e quanto un'immagine sia frutto dell'ingegno creativo non è cosa semplice per nessuno; sarà cosa buona, dunque, "aiutare" chi dovesse essere chiamato a valutarla tenendo presente, ad esempio, che:

a) L'uso corretto della tecnica di illuminazione non è un elemento di creatività, mentre è lo è l'uso interpretativo della luce. Dunque, l'uso di una gabbia di luce per fotografare un oggetto metallico è semplice perizia tecnica, ma il ricorso a luce leggermente ambrata per rendere l'atmosfera più calda ed intima è creatività.

b) Il rispetto assoluto di un lay out può offrire materia per svuotare di significato l'apporto creativo del fotografo. Al contrario, il fatto che sia stato il fotografo a dovere decidere in merito alla disposizione degli oggetti, pone l'autore nella posizione di chi ha contribuito, grazie al suo "styling", all'efficacia espressiva dell'immagine.

c) Scegliere un punto di vista corretto nell'eseguire una ripresa di reportage non è necessariamente sintomo di creatività; tuttavia, dimostrare di aver fatto ricorso ad un catadiottrico per isolare idealmente il soggetto dallo sfondo, o di avere utilizzato il controluce per drammatizzare la scena, o di avere appositamente inserito l'elemento umano per rendere "vivo" il paesaggio, elevano l'operazione tecnica ad operazione compositiva.

E così via. Altro aspetto basilare, ma poco risaputo, risiede nel fatto che l'Autore che abbia realizzato un'opera creativa ha la possibilità di cedere, relativamente alla sua opera, non solo il diritto di pubblicazione o, genericamente, di utilizzo, ma tutta una serie di possibilità fra loro distinte, ed autonomamente esercitabili. Si tratta di un diritto sancito all'articolo 12 della Legge, ed in quelli seguenti.

In sostanza, il fotografo può, legalmente, cedere il diritto di riprodurre in tante copie un'immagine (art. 13), senza che necessariamente debba cedere anche il diritto di usare economicamente tali copie (art. 17); oppure, può cedere il diritto all'utilizzazione economica ed alla pubblicazione, riservandosi in toto il diritto a pubblicare le sue opere in raccolta (art. 18). Ancora: può vendere il diritto alla riproduzione dell'immagine, riservandosi la possibilità di elaborarla e di vendere i diritti su questa elaborazione (sempre art. 18).

Tutti questi aspetti, su cui torneremo diffusamente nel corso della sezione, sono aspetti del diritto d'autore fra loro completamente indipendenti (art. 19), che vengono ceduti in blocco spesso solo per disinformazione. Attenzione, però: nel caso di lavori eseguiti su commissione la cessione completa dei diritti può avvenire automaticamente e senza che il fotografo intenda attivamente fare ciò.

Si leggano con attenzione i capitoli seguenti.

LE SEMPLICI FOTOGRAFIE

Abbiamo dunque visto che le immagini fotografiche non contenenti elementi creativi non possono essere protette come opere d'Autore; per completezza di trattazione dunque, la Legge riporta le indicazioni del Capo 5, Titolo 2, che indica come comportarsi dinanzi alle immagini fotografiche non creative.

Il testo dell'articolo 87, che dovrebbe servire come definizione, fa sorridere qualsiasi professionista dell'immagine.

La descrizione, volenterosa negli intenti dei Legislatori, è infatti estremamente fumosa, indicando come "fotografie" (e dunque non "opere" creative) testualmente: "le immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale, ottenute col processo fotografico o con processo analogo".

Praticamente: tutto.

In realtà, la descrizione si contrappone a quella dell'articolo 1, che parla di opere dell'ingegno di carattere creativo. In sostanza, l'affermazione vuole essere: sono semplici fotografie tutte le immagini fotografiche che non contengano altro che la riproduzione della realtà, pari pari, senza interventi od interpretazioni creative.

Quello che più ci interessa, comunque, non è la forma della definizione, quanto il regime a cui vengono ad essere soggette le immagini descritte come "fotografie" e non elevabili al rango di "opere".

Per una prima trattazione, basterà evidenziare questi punti: se si è in presenza di "fotografie" e non di "opere creative":

1) In assenza di accordi scritti, i diritti di utilizzo delle immagini commissionate passano automaticamente e completamente al cliente, che ha diritto anche al possesso del negativo (art. 88).2) Sempre in assenza di diversi accordi scritti, è sufficiente cedere il negativo al cliente perché questi acquisisca per Legge tutti i diritti di sfruttamento economico dell'immagine (art. 89). Due esempi che si commentano da soli: al di fuori della sfera di protezione particolare riservata alle immagini "opere creative", la Legge è di ben scarso aiuto al fotografo, a cui invece tende pericolosi tranelli in caso di disinformazione.

TERMINI DI LEGGE: SETTANTA ANNI

Il comma 1 dell’articolo 11 (art. 17 Legge Comunitaria) indica che i termini della durata di protezione dei diritti di utilizzazione economica delle opere dell’ingegno di cui al titolo I della legge 22 aprile 1941 e successive modificazioni, previsti dagli articoli (....) 32-bis, sono elevati a 70 anni.

In seguito la protezione è stata estesa dall’applicazione della protezione a settant’anni dalla morte dell’autore, come prevede l’attuale articolo 32 bis:

Art. 32 bis)

I diritti di utilizzazione economica dell'opera fotografica durano sino al termine del settantesimo anno dopo la morte dell’autore. 

(articolo sostituito dal Dlgs 154/97). 

In parole concrete, questo significa che le opere dell’ingegno, e quindi le fotografie con traccia di creatività, sono ora protette - prima di cadere in pubblico dominio - per settanta anni dalla morte del fotografo, e non più per cinquanta anni dalla data di produzione come era prima.

Attenzione, però: il DL 253/95 prevede che siano soggette a questo prolungamento le opere indicate al titolo I della legge 22 aprile 1941, e cioè le foto con traccia di creatività, e non le “semplici fotografie”, che in questo modo restano ancora protette per soli venti anni.

b) Con lo stesso DL 253/95, viene abrogato il prolungamento dei “sei anni di guerra”, prima in vigore per il DLLg 440/45. Si tratta, quindi, di settant’anni “puliti”, e non di settanta più i sei di guerra.

c) Il Decreto legge ed il conseguente prolungamento della protezione hanno effetto retroattivo, a patto che per effetto dei nuovi termini le fotografie in oggetto risultino essere protette alla data del 29 giugno 1995, momento di efficacia del DL.

Resta la scappatoia delle immagini da considerarsi “semplici fotografie”, e non opere dell’ingegno. Categoria difficile da definire, tali fotografie sono in sostanza quelle eseguite da un operatore senza che vi fosse un suo personale intervento di interpretazione, a qualsiasi livello. In questo caso, le immagini restano di “pubblico dominio”, cioè riproducibili senza alcun obbligo, dopo soli vent’anni dalla data di produzione.

Riassumendo:

a) Le fotografie creative vengono protette per 70 anni dalla data di morte dell’autore. Questo significa che non è più possibile, come prima, contare su di una data precisa da cui le immagini sono da considerarsi di pubblico dominio.

b) Le fotografie che non recano traccia di creatività od interpretazione - tecnica o compositiva - restano protette per soli vent’anni dalla data di produzione.

c) Non esiste più il prolungamento di 6 anni per le opere prodotte prima della guerra.

d) Le opere che erano cadute in “pubblico dominio” prima del DL 253/95 tornano ad essere protette fino allo scadere del settantesimo anno dall’anno di morte dell’autore.

Tutti questi temi sono trattati in forma rapida e chiara in appositi tutorial video, che trovi catalogati a:
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3.2 Come ottengo il “copyright”?

Non si deve fare assolutamente nulla di particolare: non occorre depositare le fotografie, non occorre essere iscritti ad alcun elenco specifico per essere considerati “autori” di un’immagine. Semplicemente, occorre averla fatta.

Per ottenere che l’immagine sia protetta ai sensi della legge 633/41, basta scrivere sulla fotografia il nome e cognome dell’autore e l’anno di produzione. Per le diffusioni all’estero, il nome e cognome va accompagnato dal simbolo internazionale di copyright ©, che è di uso libero.

Tutto il blocco dei diritti connessi si acquista semplicemente per il fatto di aver realizzato la fotografia (art. 6 della Legge). A differenza di altre opere creative, per le immagini fotografiche è del tutto superfluo il deposito di copie dell'opera presso l'Ufficio della proprietà artistica, scientifica e letteraria (art. 105). In pratica, l'autore non deve adempiere a nessuna particolare formalità per essere considerato come titolare dei diritti.

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3.3.1 Protezione dell’immagine in generale

Le possibilità di protezione delle immagini sono oggettivamente poche. Potremmo dividerle in

a) azioni dovute per legge

b) azioni preventive

c) azioni a posteriori

A) Le operazioni dovute perché previste dalla legge sono semplicissime. Come spiegato anche al punto specifico 3.2 Come ottengo il “copyright”?, non si deve fare assolutamente nulla di particolare: non occorre depositare le fotografie, ma semplicemente basta scrivere sulla fotografia il nome e cognome dell’autore e l’anno di produzione. Per le diffusioni all’estero, il nome e cognome va accompagnato dal simbolo internazionale di copyright ©, che è di uso libero.

B) Preventivamente, è bene non solamente accompagnare la foto con il nome e cognome dell’autore, ma anche con la esplicita indicazione che l’immagine è protetta da copyright, e che qualsiasi utilizzo deve essere concesso per iscritto.

ATTENZIONE: ricordarsi SEMPRE che gli originali delle immagini NON DEVONO essere ceduti senza una prova scritta del motivo della consegna, e che la fattura deve riportare non una generica indicazione di “fotografie”, ma la descrizione del diritto di utilizzo che si sta cedendo (vedi anche 1.2 Di chi sono gli originali delle foto commissionate).

Quando ci sia motivo per temere che l’immagine venga duplicata, è utile consegnarla in bustine trasparenti dai bordi sigillati, che rechino sulla superficie scritte o segni che renda impossibile o molto scomoda la duplicazione senza rompere i sigilli della busta.

Come già accennato, se si teme di avere difficoltà a dimostrare il fatto di essere stati esecutori dell'opera, ci si procurino prove della paternità degli scatti, come ad esempio

marchiare i bordi del fotogramma, incidere tacche di identificazione sui bordi della finestrella di esposizione delle proprie fotocamere, effettuare foto di scena nel caso di set complessi.

C) Quando l’immagine sia stata “rubata”, la strada da seguire è il tentativo della composizione amichevole, chiedendo all’utilizzatore di pagare il compenso dovuto entro una data precisa.

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3.3.2 Protezione dell’immagine digitale

Iniziamo con una premessa indispensabile.

L’immagine fotografica è tutelata da una legge di fondo e dai suoi successivi aggiornamenti: il fatto che la fotografia sia realizzata, diffusa e duplicata con strumenti digitali non sposta di una virgola la sostanza del diritto dell’autore, e dell’illecito di chi ne fa un uso non autorizzato. Semplicemente, il mezzo digitale ha reso più facile e più “produttivo” il furto di immagini, che resta comunque tale.

Disporre di una pistola rende più semplice la rapina, rispetto all’uso di un pugnale, ma si tratta sempre di una rapina.

La legge che prevede che chi ha eseguito delle fotografie ne sia, fino a prova contraria, titolare dello sfruttamento, è la legge 633/41, aggiornata dal dpr 19/79 e, recentemente, dal Dlgs 154/97. Le implicazioni di questa legislazione sono estese, negli elementi basilari, a tutto il modo, grazie alla Convenzione Internazionale di Berna del 1971. Che si tratti di immagini digitali od analogiche, sono protette, recita la legge, “le opere fotografiche e quelle espresse con procedimento analogo alla fotografia”.

 

*** Immagini “prelevate” per realizzare un CD-rom, od un sito Internet “abusivo”.

Riprodurre un’immagine su un CD-Rom che sia destinato ad essere diffuso è l’esatto equivalente del riprodurla a stampa. Mentre è molto controverso il confine fra lecito ed illecito nel caso della riproduzione per “archiviazione” (su CD, ma anche su disco fisso), è incontestabile che la riproduzione in molti esemplari sia uno sfruttamento economico che va acquistato, o comunque autorizzato.

Nessun editore, agenzia o casa di produzione ha dunque diritto di riprodurre immagini per realizzare dei CD, senza pagare dei diritti agli autori delle foto. Data la scarsa controllabilità degli impieghi multimediali off-line (bisognerebbe visionare singolarmente tutte le immagini) gli utilizzi illeciti sono scoperti abbastanza di rado e, per questo motivo, prosperano.

Attualmente, non esistono dei sistemi realmente sicuri di protezione “fisica” delle immagini. Le chiavi di marcatura elettronica non risolvono il problema alla base: sistemi come Digimarc o SureSign (vedi più avanti) includono un codice di identificazione nell’immagine, ma occorre la buona volontà di chi riproduce la fotografia, per rispettare tale informazione. Un po’ come applicare alla bicicletta una targhetta col proprio nome, e sperare che non venga rubata.

I sistemi, invece, che introducono una vistosa filigrana, o un marchio o comunque bloccano l’uso dell’immagine se non si utilizza la password che testimonia il diritto acquisito, garantiscono la protezione nel primo impiego. Il file “sprotetto” può poi essere clonato.

In pratica, resta unicamente la concreta possibilità di rivalersi su chi ha fatto un utilizzo indebito, una volta che l’illecito viene scoperto.

 

*** Concretamente.

Sono tre le possibilità per rivalersi sull’utilizzatore indebito, prima di intentare una causa (soluzione lunga, esasperante e consigliabile solo come rimedio estremo).

a) Inviare una raccomandata AR all’utilizzatore, che – riassumendo gli estremi dell’illecito scoperto – riporti una diffida più o meno in questi termini: “.... Ai sensi degli articolo 20 e seguenti, ed 87 e seguenti della legge 633/41, Dpr 19/79 e Dlgs 154/97, tale utilizzo si configura come un evidente lesione dei nostri diritti di sfruttamento economico e dei collegati diritti morali. Per la soluzione stragiudiziale del caso, chiediamo di regolarizzare la vostra posizione mediante corresponsione di un diritto di euro xxx, da liquidare entro e non oltre il giorno xx/xx/xx. In assenza di un vostro completo e puntuale riscontro, procederemo senz’altro avviso alla difesa dei nostri diritti in sede sia ordinaria che cautelare, con richiesta di sequestro dell’opera, e conseguente aggravio di spese a vostro carico.”

b) Far effettuare una richiesta simile dal proprio legale, o dalla propria associazione professionale.

c) Dare mandato alla Siae. In questo caso, è la Siae a provvedere al recupero dei diritti, secondo tariffario Siae. Occorre che il mandato (che dura 5 anni ed ha solo un costo iniziale di poche decine di euro in bolli) venga conferito prima che avvenga l’illecito. Per brevità, Se desideri dettagli su questa possibilità puoi vedere direttamente la pagina Siae al sito www.fotografi.org/siae

 

Digitale: è davvero meno sicuro?

Molti si scandalizzano nei confronti del digitale, incolpandolo di avere distrutto la possibilità di protezione del copyright, perché le copie abusive sono belle tanto quanto gli originali, poiché in ambito digitale il concetto di “Copia” è abbastanza relativo.

Andrebbe innanzitutto detto che questo aspetto si traduce principalmente in un vantaggio per l’uso delle immagini lecite, e solo secondariamente in un problema nel caso di illeciti.

Al di là di questo, comunque, occorre evidenziare che la maggior facilità con cui vengono “rubate” le immagini NON è legata al digitale in se, ma alla diffusione enorme che si fa delle immagini digitali, perché (altro vantaggio) costa molto poco farne delle copie da far vedere a tutti.

Capiamoci. Un fotografo che abbia digitalizzato il suo portfolio, e che tenga nel cassetto i suoi files, ovviamente non corre un rischio maggiore di quanto non lo corresse prima, con le foto su diapositiva – sempre tenute nel cassetto.

Ma se il fotografo avesse fatto centinaia di migliaia di duplicati del suo portfolio, e li avesse appesi fuori dal portone di casa sua, si sarebbe dovuto stupire del fatto che i casi di furti di immagine aumentavano? Certamente no.

E allora, perché stupirsi se aumentano i furti di immagini rese disponibili a migliaia o a milioni di persone, tramite il mezzo digitale, sia on-line che off-line?

Insomma: la gente non è più disonesta a Milano che a Lignod (paesino della Val D’Aosta); eppure, a Milano rubano molto di più. Il fatto è che nelle grandi città ci sono molte, molte più persone che nei paesini, e quindi il rischio aumenta. Così, il digitale espone a rischi maggiori di furto, ma lo fa perché mette in contatto con più persone. Il che, non è sempre un male.

 

I sistemi di protezione dei files

La soluzione della “bassa risoluzione” che pareva essere anni addietro un buon deterrente, di fatto si è dimostrata per quella che è: una limitazione qualitativa che lascia in realtà assolutamente il tempo che trova. Un file diffuso a 480x640 pixel non può essere usato per grandi stampe, ma va egregiamente bene per un sito internet od una applicazione multimediale. Con un briciolo di interpolazione, può essere usata anche per illustrare riviste e depliant, con risultati accettabilissimi.

Per limitare i “furti” di immagini in rete e da CD, abbiamo i “watermark”, cioè i marchi “trasparenti”, inavvertibili, che siglano le immagini come soggette ad una paternità morale ed economica.

Anche se questi sistemi non impediscono fisicamente la riproduzione delle immagini, forniscono uno strumento utilissimo: alle persone in buona fede danno la possibilità di assolvere i diritti; contro quelle in malafede, invece, consentono di opporre la prova evidente della sottrazione indebita, che altrimenti, paradossalmente, potrebbe spesso non essere dimostrabile (quale file è la copia dell’altro…?)

In questo ambito, ovviamente, va citato il sistema della Digimarc, il PictureMarc. Si tratta del sistema di “watermark” forse più diffuso in assoluto, anche perché il relativo programma è diffuso in “bundle” con programmi come Photoshop (dal 4.0 in su), Corel Draw,  Photopaint, ed altri.

In verità, sono molti gli utenti di tali programmi che nemmeno sanno di avere (nel menù filtri od effetti) anche questa possibilità.

Digimarc modifica i pixel dell’immagine in maniera visivamente assai poco avvertibile, agendo particolarmente sui contorni di maggior contrasto.

Il codice è “diffuso” su tutta la superficie del fotogramma, in maniera da essere riconosciuto dal lettore anche se la foto viene tagliata, od alterata, o compressa. La numerazione di identificazione viene conservata anche nell’immagine retinata e stampata ad inchiostro, e torna ad essere identificabile semplicemente riscansendo la stampa, e passando il file al “lettore” Digimarc.

Le informazioni si perdono solo a seguito di pesanti modifiche, di stampa in bianco e nero a getto d’inchiostro, oppure… grazie ad alcuni accorgimenti, vedi più avanti.

Altrettanto efficace (forse, anzi, un poco più resistente alle alterazioni) è il sistema inglese della Signumtech, il SureSign, che funziona concettualmente come il Digimarc.

 

Reale effetto di protezione dei watermark

Va però fatta un'osservazione di fondo: il watermark sostanzialmente non impedisce in nessun modo l'uso della foto, ma semplicemente consente di "tracciare" la paternità del file in un secondo momento. Per fare un esempio, è un po' come se mettessimo una targhetta con il nostro nome nascosta sotto il sellino di una bicicletta, lasciata senza lucchetto. Nulla impedisce di rubare la bicicletta, anche se - una volta ritrovata - potremmo dimostrare che si tratta della nostra bici.

Alla stessa stregua, un watermark non impedisce il furto della foto, ma la "traccia".

 

Per impedire fisicamente l'uso di un'immagine digitale il deterrente più efficace (non assoluto, ma certamente quello con maggior effetto statistico) è lo scrivere nel centro della foto, con un ingombro di circa un terzo della larghezza dell'immagine, il proprio nome e cognome, oppure l'indirizzo del proprio sito, con caratteri semi trasparenti, od effetto bassorilievo, eccetera (usando i livelli e poi unendo in unico livello è possibile automatizzare in Photoshop l'azione di marchiatura delle foto).

Il sistema è deturpante, ma ragionevolmente sicuro. E' vero che è possibile cancellare la scritta e ricostruire l'immagine sottostante, ma il lavoro necessario è lungo e, e sposta l'attenzione del cliente in malafede su altre immagini da "rubacchiare".

 

I sistemi di sprotezione (eliminazione della protezione)

Ricordate quando quasi tutto il software originale era protetto dalla copia, mediante chiavi digitali, password, chiavi ottico – meccaniche, eccetera? Il fatto è che, sprotetta una copia da qualche informatico esperto, tutte le successive copie abusive erano senza protezione. Così, anche i produttori di software hanno in larga parte abbandonato la crociata del “blocco fisico” della copia, una battaglia persa in partenza.

I sistemi di protezione dell’immagine digitale – probabilmente – seguiranno una sorte simile. Saranno utili per ridurre la copia “di massa”, fatta dal grosso degli utenti inesperti, come anche permetteranno alle persone oneste di restare tali.

Per chi vuole e vorrà aggirare i sistemi di protezione, non ci saranno mai grandi problemi.

Ad esempio: il laboratorio di informatica dell’università di Cambridge – per dimostrare che i sistemi commerciali di “watermarking” sono insicuri, ha sviluppato un software in grado di alterare automaticamente i codici di sicurezza della maggior parte dei sistemi commerciali di marchiatura, compreso Digimarc, Signum, Eikonamark, ed altri. Il programma (volutamente rallentato, per evitare che venga usato in maniera “conveniente” dai pirati dell’immagine) è denominato StirMark, e si trova gratuitamente in rete.

Ancora: se si vuole aggirare il blocco previsto da soluzioni come SafeImage (che impediscono il salvataggio delle immagini lette dai browser), basta ricercare la fotografia nella cache del browser, e scaricarla da lì. Se il nome dell’immagine è dato in forma casuale dal browser, e quindi l’immagine appare non reperibile, ci si può servire di un programma di ricerca (ad esempio Cache Explorer di Matthias Wolf).

Ancora: alcuni sistemi di “ricerca automatica” nel web di immagini marchiate possono essere messi in crisi da programmini (come il “2mosaic”) che spezza le immagini in sub-unità, per poi giuntarle come se fossero apparentemente un’immagine sola, mettendo in scacco il “web-spider” di ricerca del watermark.

E così via, potremmo andare avanti a lungo.

 

Una necessaria considerazione

Infine, un’ultima considerazione provocatoria. I sistemi di protezione del digitale si sono dimostrati, fino ad ora, non sicurissimi, nel senso che possono essere aggirati da chi sia davvero in malafede.

Ma la fotografia tradizionale, che garanzie di irriproducibilità darebbe? Coma mai si sarebbe difesa dai furti una diapositiva od una stampa?

Come già accennato, il vero nocciolo della questione sta nella grande diffusione che il digitale permette. E chi non vuole esporsi al vantaggio ed al rischio della diffusione, può semplicemente astenersi dal diffondere...


4 Posso proteggere l’idea che sta dietro alle mie foto?

Le idee che stanno dietro alle immagini fotografiche ed alle campagne pubblicitarie sono proteggibili solo nella loro concreta realizzazione, ma non come concetti astratti.

Il dubbio nasce dinanzi alla constatazione, innegabile, che spesso nel mondo delle immagini si tende ad ispirarsi in maniera anche piuttosto pesante ai lavori di altri.

Così, osservare attentamente un'immagine fotografica o grafica, ed utilizzarne anche abbondantemente degli spunti per rifare immagini similari appare un'operazione all'ordine del giorno. 

L'operazione appare normale per chi la compie attivamente (chi si "documenta" guardando il lavoro altrui), mentre risulta assai meno piacevole ed accettabile per chi aveva realizzato la prima versione dell'opera che poi funge da elemento ispiratore di altri.

Ora, la lecita domanda è questa: fino a che punto operazioni di questo genere sono ammissibili? In altre parole, fino a dove ci si può spingere nell'ispirarsi a lavori altrui, e quando è possibile ribellarsi ad operazioni di “rapina” da parte di altri?

Il problema è molto meno semplice di quanto non si potrebbe desiderare.

Infatti, il nodo della questione sta nel fatto che per proteggere qualcosa la legge ha bisogno di un elemento concreto a cui fare riferimento; ora, mentre le opere effettivamente e concretamente realizzate sono un'espressione concreta, e proteggibile, del pensiero, l'idea in sé stessa è molto meno definibile e, di fatto, meno proteggibile.

Come se non bastasse, nel caso delle pure "idee" resta sempre il dubbio della priorità con cui tali idee sono state effettivamente partorite; mentre è possibile determinare quando è stata realizzata in specifico un'opera, resta praticamente impossibile determinare chi ha avuto una determinata intuizione e quando la ha avuta. Il fatto di depositare presso un notaio, o presso la SIAE, una descrizione dell'idea è cosa ininfluente. Chi mai potrebbe garantire che quell'idea depositata non era in realtà stata prima copiata da qualcun altro? Chi mai potrebbe garantire che la persona che ha depositato l'idea rivendicandola come sua, in realtà non l'aveva carpita ad un amico, chiacchierando a cena con lui la sera precedente? Nessuno, appunto. 

In realtà, occorre attirare l'attenzione sul fatto che il complesso di norme che regolamenta il diritto d'autore è pensato, per tutte le legislazioni anche internazionali, al fine di proteggere le opere ultimate, e non l'idea che ne sta alla base.

Questo significa che la fotografia, l'immagine o comunque l'opera non ancora realizzata NON può essere protetta, ed anche che il fatto di ispirarsi ad opere già realizzate, senza peraltro copiarle pedissequamente o plagiarle, nella maggior parte dei casi non è azione perseguibile.

Così, il timore di molti trova un'effettiva corrispondenza nella realtà: lasciare in visione delle immagini in una agenzia pubblicitaria, o presso il cliente, effettivamente apre la strada alla possibilità che il cliente si "ispiri" a tali immagini, senza che poi nulla sia dovuto, e senza che la cosa possa essere impedita.

Alla stessa stregua, ispirarsi anche in maniera determinante ad uno spot visto passare su di un canale straniero, è in sé operazione di fatto non perseguibile, a meno che non si sconfini nel rifacimento di quel filmato. Oltretutto, l'eventuale diversità dello Stato aggiunge notevoli problemi logistici, e relativi costi, all'azione legale già di per sé incerta.

D'altronde, il creativo d'agenzia ed il fotografo stesso si ispira come crede al lavoro dei suoi colleghi

La legislazione resta approssimativa non tanto per un difetto della legge in sé, quanto per un'oggettiva natura molto sfumata del problema.

 

Allora, nulla da fare sul piano dei furti di idee?

Certamente no.

Esistono, come è evidente, dei casi effettivamente di non semplice soluzione, ma per ogni caso incerto se ne verificano centinaia molto ben identificabili, nel senso che è possibile definire a priori e con ragionevole certezza se l'ispirazione tratta da un'altra opera è cosa lecita o meno.

Vediamo nel dettaglio.

1) Certamente, è illecito il caso in cui si riproduce integralmente o parzialmente un'immagine, un disegno, uno spezzone. E' quel tipo di operazione che compie, ad esempio, un editore quando pubblica un'immagine senza autorizzazione, o un cliente quando utilizza un'immagine senza avere pagato il fotografo. Anche l'impiego di un passaggio filmico duplicato abusivamente rientra in questo caso, come l'acquisizione per via elettronica di una fotografia od un disegno. 

2) Certamente si è dinanzi ad un illecito quando un operatore utilizza immagini altrui, millantandone la paternità morale. Si tratta delle situazioni in cui il fotografo od il creativo - e ne esistono - raccolgono immagini qua e là da cataloghi e riviste e le inseriscono nel loro portfolio, dichiarando che si tratta di loro lavori, quando in realtà ciò non è vero. In questo caso, si tratta di usurpazione dell'opera.

3) Certamente si tratta di un illecito la situazione nella quale, partendo da un'immagine o da un'idea altrui, si realizza un rifacimento pedissequo dell'opera a cui ci si rifà. In questo caso si parla di "plagio". Per "plagio" si intende il rifacimento ad un altra opera fotografica, o ad un'altra idea pubblicitaria, appropriandosi, di questa, non tanto e non solo di un generico elemento ispiratore, quanto proprio della cosiddetta "forma" dell'opera stessa, imitandola in maniera scorretta.

4) Molto più delicato è il caso, invece, in cui dall'osservazione di un'opera altrui sia scaturita una nuova idea, in qualche modo collegata, anche conseguentemente, all'idea originaria, senza che tuttavia ci sia un vero e proprio rifacimento dell'opera di partenza.

Le discussioni e le diatribe in giurisprudenza hanno tentato di sezionare i parametri delle opere creative, per giungere ad enucleare quale porzione fosse riprendibile liberamente e quale dovesse essere protetta dal diritto d'autore.

Inizialmente si è semplicemente ipotizzata la distinzione fra la "forma" dell'opera ed il suo "contenuto". Secondo questa distinzione, si potrebbe riprendere il contenuto dell'opera, ma non la forma con la quale tale contenuto è stato espresso.

A questa suddivisione oggettivamente un po' troppo spartana si è in seguito aggiunto il concetto di "forma interna", di "forma esterna" e di "contenuto"; la prima e la seconda sarebbero protette (rispettivamente, il modo con cui sono presentate le idee, e lo stile che sottende tale tecnica), mentre il contenuto resterebbe non difendibile.

Questo ultimo caso determina, chiaramente, tutti i casi di possibili contenziosi. L'oggetto del contendere resta indefinito, e resterà sempre tale: per tutte le situazioni non immediatamente distinguibili, finisce per pronunciarsi un giudice, se non si perviene ad un accordo in caso di contestazione. 

Un criterio abbastanza valido per individuare - a grandi linee - se si tratti o meno di plagio è quello di valutare la riconoscibilità dell'opera o fotografia originaria in quella derivata. Se la maggior parte delle persone, non influenzate a parte, riconoscono nella seconda immagine i tratti essenziali della prima immagine, con ogni probabilità (ma non certezza) si tratta di plagio. Normalmente, tuttavia, in questi casi finisce con l'avere ragione... chi può pagare l'avvocato migliore.

5) Il rimaneggiare e rielaborare fisicamente (in camera oscura o a computer) un'immagine, reinterpretandola, non è comunque un'operazione che possa essere vista come semplice ispirazione. 

Il diritto all'elaborazione creativa è infatti un diritto esplicitamente sancito dalla legge sul diritto d'autore, e di proprietà originaria di costui.

Se lo desidera, il fotografo autore può poi vendere tutti i diritti, compresi quelli di elaborazione; ma se non lo fa, questi restano in capo a lui, e solo lui può elaborare creativamente le sue immagini, oppure concedere o negare ad altri il permesso di farlo.

In questo senso, l'intervento "fisico" di rimaneggiamento di immagini altrui resta sempre, e con certezza, un illecito perseguibile.

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5 Cosa posso fare se il cliente non mi ha pagato?

Il primo passo da fare è quello di intimare il cliente al pagamento, con una raccomandata con avviso di ricevimento (AR).

Un esempio di bozza di lettera di sollecito, suggerita da TAU Visual, è questa:

 

Egregi,

con la presente siamo a richiedervi il pagamento della fattura (correlata a documento di trasporto n. xxx) in relazione a fornitura di servizi fotografici da Voi commissionati e compiutamente eseguiti e fornitiVi, per totali euro  xxxxxxx  IVA inclusa.

Il saldo dovrà pervenire al nostro Studio Fotografico entro e non oltre le ore 18:00 del giorno xx/xx/xx.

Riteniamo necessario informarvi che, in assenza di un vostro sollecito riscontro, ci vedremo costretti a procedere senz'altro alla richiesta di decreto ingiuntivo di pagamento nei vostri confronti, per il quale è già stata approntata la documentazione necessaria.

Con la presente, a far data dal termine ultimo sopra indicato, siamo inoltre costretti a dichiararVi in mora ai sensi dell'articolo 1219 c.c.

E' inoltre opportuno informarvi che qualsiasi utilizzo da parte vostra delle immagini fornitevi, in assenza del saldo, configurerà lesione dei diritti patrimoniali d'autore spettanti al fotografo e previsti all'articolo 87 e seguenti della legge 633 del 22.4.41 e relative modifiche DPR 19 del 8.1.79 

Anche in ordine a tale aspetto, in difetto di vostro riscontro, dovremo procedere alla tutela dei nostri diritti nelle competenti sedi giudiziarie.

Cordialità.

 

Se il cliente ancora non pagasse, è possibile ricorrere ai servizi di sollecito e recupero dei crediti, oppure chiedere l’emissione del decreto ingiuntivo (se ammissibile) o, estrema razio, intentare causa.
I servizi riservati ai Soci per il sollecito dei crediti sono riassunti alla pagina www.fotografi.org/aiuto


 

6.1 Casi in cui è possibile / non è possibile pubblicare il ritratto

Vedi una trattazione specifica a www.fotografi.org/ritratti

Come buona norma, si potrebbe riassumere il concetto in maniera molto stringata: il ritratto delle persone non si può pubblicare senza il suo consenso, tranne qualche eccezione da valutare con prudenza.

Questa limitazione è espressa all'articolo 96 della legge 633/41: "il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto e messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell'articolo seguente".

L'indicazione è inequivocabile: fatte salve alcune particolari e circoscritte eccezioni, chi veda pubblicato il proprio ritratto fotografico senza essere consenziente a tale utilizzo pubblico, può opporsi.

La conseguenza immediata è particolarmente importante per i free lance che realizzano varie immagini di reportage, e le cedono poi a riviste ed agenzie; in assenza delle condizioni che ora vedremo nel dettaglio, un simile "uso" dei volti altrui richiede il possesso di quello che viene definito il "release", cioè il permesso scritto alla pubblicazione. Del "release" non è possibile fare a meno in caso di utilizzo commerciale e pubblicitario, ed è prudente che esista anche per i fini editoriali anche minori, anche se la consuetudine è quella di confidare nell’efficacia del cosiddetto "diritto di cronaca" e, soprattutto, nell’intelligenza delle persone ritratte.

Quando non occorre l’assenso alla pubblicazione:

Esiste una nutrita casistica di eccezioni. Vediamole sinteticamente.

Se si tratta di personaggio famoso, pubblicato nell'ambito della sfera della sua notorietà, e con fini di informazione. Ai fini informativi e di cronaca, cioè, il volto di personaggi pubblici (uomini politici, dello spettacolo, con cariche pubbliche, ecc.) può essere pubblicato senza necessità del consenso della persona ritratta. La Cassazione ha tuttavia evidenziato come questa norma possa ritenersi valida solo se la "notorietà" della persona in oggetto è riferita al contesto dove avviene la pubblicazione. Inoltre, sempre la Cassazione evidenzia come il prevalente fine di lucro annulli questa concessione.

Se la pubblicazione avviene a scopi scientifici o didattici. E il caso, ad esempio, dei trattati medici, o di patologia, o di antropologia. Ovviamente, dato che l'immagine non deve essere lesiva della dignità della persona ritratta, anche in questo caso la persona può opporsi, o richiedere la non riconoscibilità del volto.

Se la pubblicazione è motivata da fini di giustizia o polizia. Ecco come immagini di cittadini non pubblici, divengano lecitamente pubblicabili.

Se l'immagine della persona compare all'interno di un'immagine raffigurante fatti svoltisi pubblicamente o di interesse pubblico, ed il volto della persona non è isolato dal contesto. Questo è un aspetto importante: NON significa che sia libera la pubblicazione di immagini di ritratto purché realizzate in luoghi pubblici. significa, invece, che se il soggetto della fotografia è un avvenimento o un luogo (ad esempio, la piazza della chiesa, gli spalti dello stadio, una manifestazione di piazza) e – incidentalmente – sono riconoscibili delle persone, allora non occorre il loro assenso. Occorrerebbe, invece, se si trattasse di inquadrature isolate su di loro, in quanto il soggetto non sarebbe più il luogo o l’avvenimento, ma proprio il loro ritratto.

 

Attenzione però a non confondere l’assenso a farsi ritrarre (quando il soggetto è d’accordo sul fatto che lo si fotografi) con l’assenso alla pubblicazione (concordare sulla diffusione dell’immagine è tutt’altro discorso).

Si tenga presente che sono vietate le riprese di obiettivi militari (stazioni, aeroporti, caserme, ecc.), di materiali bellici e proprietà di Esercito, Marina, Aeronautica, ecc., e dei loro appartenenti in servizio (da un regolamento interno dei Carabinieri).

 

Al di la di queste restrizioni, comunque, non esiste alcuna legge che vieti di fotografare i privati.

 

Capita quotidianamente il caso per il quale dei privati ritratti in occasione di pubbliche manifestazioni si ribellino all'idea di essere stati ripresi, ed impongano la loro volontà, fino al limite di impadronirsi del rullino, o di distruggerlo.

Questa situazione è, legalmente parlando, un abuso. Il fotografo spesso tende a subire, sia quando non si senta sicuro del suo diritto, sia quando l'interlocutore sia più grosso di lui.

In realtà, per Legge, la ripresa dei privati non è proibita, mentre lo può essere la pubblicazione del ritratto.

Quando, come già accennato, questo "ritratto" non è un primo piano, ma un'immagine di un momento pubblico, all'interno della quale sia riconoscibile una persona, la fotografia diviene anche pubblicabile senza il consenso del ritratto. In sostanza, se il soggetto della fotografia è l'avvenimento e non la persona, come, ad esempio, la manifestazione studentesca, o un momento delle corse dei cavalli all'Ippodromo, ed - all'interno dell'immagine - sono riconoscibili delle persone, costoro non possono accampare alcun diritto in nome della Legge sul diritto d'autore.

Attenzione!!! Nessuno di questi casi, tuttavia, risulta applicabile se l'immagine in oggetto è in qualche modo lesiva della dignità della persona ritratta.

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6.2 Modello di release (autorizzazione alla pubblicazione del ritratto)

 

Per "release" in forma breve è sufficiente far sottoscrivere la semplice dizione:

 

"Io sottoscritto (nome del soggetto) autorizzo la pubblicazione delle immagini ritraenti la mia effigie, realizzate il xx/xx/xx."

Solitamente, infatti, la firma di un contratto dettagliato tende ad intimorire il soggetto, che non firma volentieri qualcosa che non capisce bene.

Anche il release estremamente stringato riportato qui sopra, comunque, ha piena validità legale.

Volendo disporre di un documento più dettagliato (e quindi più restrittivo per entrambi) si può utilizzare questo:

Il/la sottoscritto/a............................ concede l'autorizzazione alla pubblicazione delle immagini fotografiche della propria persona, effettuate da.............. in data.../.../.... Per esplicito controllo ed autorizzazione alla pubblicazione, provvede a firmare allegata distinta delle immagini in oggetto (oppure: firma allegata fotocopia delle immagini in oggetto), indicando con l'apposizione di tale firma il proprio incondizionato benestare alla pubblicazione.

(Eventuale:) Sono escluse dalla concessione di pubblicazione le seguenti Testate:................................ e, dall'esposizione al pubblico, i seguenti luoghi:................ Dal canto suo, l'Autore delle immagini si impegna a non farne uso alcuno che possa risultare lesivo della dignità o della reputazione del soggetto fotografato.

Per la prestazione d'opera consistente nella posa per la realizzazione delle immagini e per il diritto di utilizzo delle fotografie - come sopra indicato - è pattuito un compenso di euro..................... Ricevendo tale corresponsione, il sottoscritto si impegna a non avanzare alcun altra pretesa relativamente alle succitate prestazioni e al diritto d'uso delle immagini.

Il diritto di utilizzo delle immagini si intende concesso fino al.../.../.., intendendo con tale termine la data oltre la quale il fotografo non potrà più cedere attivamente le immagini in oggetto. Ovviamente, non potrà essere imputato al Fotografo il sussistere della pubblicità delle immagini diffuse (ad esempio, su riviste, volantini, ecc. che vengano ad essere ancora reperibili in circolazione allo scadere del termine fissato).

 (Firme dei contraenti)


 

7.1 In genere cosa è cambiato con la legge sulla privacy

Dall’entrata in vigore della legge sulla tutela della privacy n. 675/96, molti fotografi hanno dimostrato interesse (o preoccupazione) in relazione alle nuove norme che vincolerebbero l’attività di reporter e, in generale, quella di fotografo.

Come capita in questi casi, hanno cominciato a diffondersi “leggende metropolitane” sulle proibizioni che la nuova legge avrebbe introdotto, e sull’impossibilità di svolgere il proprio lavoro, dato che serpeggia il timore che sia divenuto impossibile fotografare chiunque senza il suo consenso.

 

LA “NUOVA” LEGGE

La nuova famigerata legge è la n. 675/96, la cui finalità è quella di adeguare la legislazione italiana al contesto legale più austero della Comunità europea. Questa legge, tuttavia, si occupa sostanzialmente del fatto che non sia possibile raccogliere indiscriminatamente dati personali sui cittadini, per poi rielaborarli, cederli ad altri o pubblicarli.

Il nocciolo della legge, dunque, mira a porre delle regole - controllate da un Garante della Privacy - nella raccolta e diffusione di qualsiasi dato sugli individui (e conseguentemente anche le sue immagini private), permettendo a ciascuno un miglior controllo delle informazioni che lo riguardano. In particolare, il trattamento di alcuni dati definiti “sensibili” (ad esempio idee politiche, religiose, vita sessuale, salute, aspetti economici, ecc.) sono subordinati ad esplicito assenso da parte dell’interessato, e da controlli molto più stretti su coloro che raccolgono ed organizzano questi dati. Costoro, oltre a chiedere il permesso alle persone coinvolte, devono anche rendere conto delle modalità con cui questi dati vengono utilizzati, e dei sistemi di sicurezza con cui vengono gestiti i relativi schedari e i files di computer.

E a noi, tutto questo, cosa interessa?

Oltre a ricordare, in margine, che la raccolta di indirizzi e la cessione a terzi di tali indirizzi è regolamentata ora da tale legge, per quello che riguarda in specifico il fotogiornalismo, l’unico articolo della legge che solleva realmente la questione è l’articolo 25, che recita: “ Art. 25. Salvo che per i dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, il consenso dell’interessato non è richiesto quando il trattamento dei dati è effettuato nell’esercizio della professione giornalistica e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità, nei limiti del diritto di cronaca, ed in particolare dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico”.

Ora, per quello che riguarda il fotoreporter, questa norma significa che la pubblicazione delle immagini (in senso lato, il “trattamento” di dati personali) NON è subordinata ad assenso se essa avviene per finalità giornalistiche, e per fare davvero informazione.

Negli altri casi (cioè se non viene usata per giornalismo, o se è relativa ad elementi come la salute e la vita sessuale), occorre sempre il consenso.

LE REGOLE CHE GIA’ ESISTEVANO

I fotografi anche solo minimamente documentati sanno che da decenni la regolamentazione esistente non era identica, ma produceva effetti molto simili.

La legge 633/41 (quella ben nota sul diritto d’autore) e il Codice Civile (entrambi ben vivi e vegeti, non certo né sostituiti né soppiantati dalla legge sulla privacy) prevedevano fin da prima - e tuttora prevedono - delle norme ben precise per quello che riguarda i ritratti fotografici (vedi 6.1 Casi in cui è possibile / non è possibile pubblicare il ritratto) . E cioè: non si è mai potuto pubblicare il volto di una persona che non fosse consenziente, a meno che la pubblicazione non fosse relativa ad un personaggio già noto (viene meno il diritto ad una privacy che già non c’era più), o per finalità giornalistiche (il diritto di cronaca permette la pubblicazione, a patto che non si calpesti un diritto più forte). In nessun caso, era - ed è - ammessa la pubblicazione di immagini lesive del buon nome e del decoro della persona.

IN CONCRETO

In pratica, dal punto di vista specifico del fotografo la nuova legge sulla privacy non ha aggiunto proprio nulla. La 675/96 ha istituito regole molto più stringenti e severe sui dati personali che può gestire la società di marketing, la banca, l’azienda, il partito, il giornalista di penna, ma ha di fatto lasciato le cose più o meno come stavano per quello che riguarda la fotografia.

Unico elemento forse davvero innovativo, sta nel fatto di dover chiedere l’assenso esplicito  per la pubblicazione di immagini che riguardano la salute dei personaggi pubblici, cosa che prima non necessariamente ricadeva nel novero delle eccezioni che non ne permettevano la pubblicazione.

In pratica, ora:

1) Per pubblicare l’immagine di una persona non famosa occorre la sua autorizzazione (art. 96 legge 633/41).

2) Se la persona non famosa viene pubblicata in maniera che non possa risultare dannosa alla sua immagine, e l’uso è solo giornalistico, l’indicazione del punto a) si può ignorare, dinanzi al diritto di cronaca esercitato dal giornalista (da valutare di caso in caso).

3) Per pubblicare con finalità giornalistiche immagini di personaggi famosi non occorre autorizzazione.

4) Occorre autorizzazione in ogni caso se la pubblicazione può risultare lesiva (legge 633/41), oppure se fornisce indicazioni sullo stato di salute o sulla vita sessuale (legge 675/96).


 

7.2 Privacy ed archivi fotografici

Per quanto concerne in generale l’introduzione di eventuali restrizioni al settore fotografico dettate dalla legge sulla privacy, vedi 7.1 In genere cosa è cambiato con la legge sulla privacy

Tuttavia, l’immaginario collettivo spinge un numero sempre maggiore di persone a fare pressioni sul fotografo che ha in archivio immagini che lo ritraggano, come se il fatto che il fotografo detenga queste immagini sia – in sé – una situazione che sia lesiva dei suoi diritti.

Ovviamente, oggetto dell’attività di una notevole parte degli operatori fotografici consiste nella gestione di un archivio di immagini, nel quale si conservano le foto prodotte dal fotografo stesso (singoli professionisti) o dai fotografi rappresentati (agenzie fotografiche). La consistenza numerica varia da alcune migliaia di immagini nel caso dei piccoli operatori a numerosi milioni di diapositive, nel caso delle maggiori agenzie d’archivio (ad esempio Grazia Neri, Granata, Olympia, eccetera).

Sull’onda emozionale che la 675/96 ha portato con se, è sempre più frequente il caso in cui i personaggi ritratti si rivolgono a fotografi ed alle agenzie con la convinzione che le immagini fotografiche che li ritraggono siano da considerarsi alla stregua di “dati personali” e che sia quindi dovuto loro, ai sensi dell’articolo 13 della legge 675, il diritto di conoscere nel dettaglio quali e quante immagini siano detenute, come vengano utilizzate e anche - su richiesta – che tali immagini vengano rimosse dall’archivio.

Chiaramente questa ipotesi si tradurrebbe nell’assoluta paralisi di qualsiasi attività fotografica d’archivio, a partire dalle strutture che utilizzano le immagini come elementi giornalistici per distribuirle alle testate nazionali (le maggiori agenzie d’archivio), giù giù fino ai piccoli archivi dei fotografi di provincia, che ovviamente detengono le immagini delle cresime dei ragazzi, dei battesimi, o delle manifestazioni locali come saggi e similari.

Va rilevato che le immagini fotografiche detenute con finalità anche professionali e che ritraggano privati cittadini o personaggi pubblici sono soggette alle restrizioni già imposte dalle norme concernenti il diritto all’immagine, contenute nella legge 633 del 22 aprile 1941, e successive modifiche, agli articoli 96 e seguenti, con i quali il legislatore ha già inteso tutelare i diritti legati alla privacy dei soggetti ritratti, proibendo la pubblicazione di immagini che ritraggano l’effigie di una persona in assenza di suo esplicito consenso, con l’eccezione dei casi di immagini ritraenti personaggi la cui effigie sia già nota al pubblico, e destinate al finalità giornalistiche e di informazione, ed i casi di avvenimenti pubblici o svoltisi in pubblico.

Appurato dunque che il diritto di privacy del cittadino in relazione alla pubblicazione di immagini è comunque difeso da questa norma di legge (633/41), la detenzione, l’archiviazione e la disponibilità in archivio di immagini fotografiche non ricade in sé nei casi previsti dalla legge 675/96, non potendosi assimilare l’immagine fotografica ad un “dato personale” del singolo.

I singoli fotogrammi o le loro riproduzioni su qualsiasi supporto, infatti, sono semmai assimilabili a fonti di notizie giornalistiche – se la detenzione in archivio avviene con lo scopo di porre tali immagini a disposizione della stampa per i consueti usi di informazione – o al supporto della propria attività professionale, quando tali immagini rappresentino l’archivio professionale di un autore fotografo, ricadendo così nei casi di esclusione previsti dall’art. 12, lettere e) ed f), della legge 675/96.

Il detentore di archivio fotografico, quindi, non è tenuto a comunicare alle persone ritratte il numero, la natura e la modalità di detenzione delle immagini in esso contenuto, né a porre a disposizione del ritratto le immagini per la loro rimozione dall’archivio, fatti salvi i diritti già previsti dalla legge 633/41 in merito alla pubblicazione (e non già alla archiviazione) di immagini ritraenti persone.

 

Testo degli articoli citati

legge 633/41 – diritto d’autore

Sezione II-  Diritti relativi al ritratto

Art.96

Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell'articolo seguente.

Dopo la morte della persona ritratta, si applicano le disposizioni del II,III, e IV comma dell'articolo 93.

Art.97)

Non occorre il consenso di una persona ritratta quando la riproduzione di un'immagine è giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.

Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio quando l'esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all'onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritratta.

Art.98)

Salvo patto contrario, il ritratto fotografico eseguito su commissione può, dalla persona fotografata, o dai suoi successori o aventi causa, essere pubblicato, riprodotto o fatto riprodurre senza il consenso del fotografo, salvo pagamento a favore di quest'ultimo di un equo corrispettivo.

Il nome del fotografo, allorché figuri sulla fotografia originaria, deve essere indicato.

Sono applicabili le disposizioni dell'ultimo comma dell'articolo 88.

 

Legge 31 dicembre 1996 n. 675 – legge sulla privacy

Art. 12 - Casi di esclusione del consenso

1. Il consenso non è richiesto quando il trattamento: 

(…)

e) è effettuato nell'esercizio della professione di giornalista e per l'esclusivo perseguimento delle relative finalità, nel rispetto del codice di deontologia di cui all'articolo 25; 

f) riguarda dati relativi allo svolgimento di attività economiche raccolti anche ai fini indicati nell'articolo 13, comma 1, lettera e), nel rispetto della vigente normativa in materia di segreto aziendale e industriale;

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