LA CREATIVITA'
NELLA FOTOGRAFIA DI CERIMONIA
Se la curiosità manca...
Ovvero: Stimoli e spunti per la creatività fotografica.
Resisti alla tentazione di saltare questa introduzione, dato che sembra in
relazione abbastanza lontana con l'attività fotografica.
Se hai il forte desiderio di non leggere questo capitolo di introduzione, allàrmati: manca la curiosità (uno degli elementi indispensabili al fotografo
di successo) e la disposizione mentale a far fatica per sviluppare la
creatività, altro elemento purtroppo indissolubilmente legato con una
produzione fotografica che si rinnovi costantemente, ed in modo più radicale di
quanto non facciano i concorrenti.
Creatività come arma di differenziazione. Creatività come chiave di lettura di tutto.
In altre parole, creatività come dimostrazione della propria professionalità,
superiore rispetto alla media.
Per onestà, occorre tuttavia ammettere che la propria vena creativa non può
essere illimitata.
Per quanto vivace sia la propria mente, la tendenza
sarà, nel corso del tempo, quella di adagiarsi nell'uso di chiavi espressive
già sperimentate, e di tecniche sia fotografiche che narrative che abbiano già
dimostrato di essere gradite alla clientela.
Questa situazione rischia di impedire la crescita professionale e, con essa, la
possibilità di mantenere la propria credibilità e vendibilità.
Infatti, dato
che IN OGNI CASO ed in ogni tempo si sarà circondati da colleghi all'inizio
della professione, e quindi dotati di spunti nuovi e freschi, l'adagiarsi
sull'uso di tecniche sempre uguali a loro stesse porterà molto probabilmente
alla perdita di "smalto", rispetto alle nuove proposte di chi
parte con nuovo entusiasmo e creatività.
Inoltre, occorre ammettere che la soddisfazione personale e professionale è
decisamente maggiore se si dedica al proprio lavoro non solo dell'energia
fisica, ma anche e soprattutto dell'energia mentale spesa per migliorarsi.
Nelle note che seguono indichiamo alcune vie utilizzabili per mantenere
sempre vivace la propria capacità di inventare nuove immagini di cerimonia,
senza fossilizzarsi solo sulle soluzioni che verrebbero spontanee, in quanto
acquisite col tempo.
Come è stato ampiamente argomentato nelle scorse puntate, l'eccellenza o la mediocrità del fotografo specializzato nell'immagine di cerimonia discendono in modo diretto dalla capacità del professionista di mettersi in discussione (o meno), confrontandosi con gli stili di altri e, soprattutto, non di non accontentarsi dei complimenti che la propria clientela può attribuire.
Infatti, basandosi sui complimenti di chi ci ha già scelti, ci si fonda su un
giudizio falsato in partenza: se si tratta della clientela che ha
preventivamente scelto il nostro lavoro, è normale che esprima apprezzamenti
tutto sommato positivi.
Questo fatto rischierebbe di far sclerotizzare la propria produzione creativa
entro parametri che continuano a riferirsi a sé stessi,
"invecchiando" la propria attività in maniera preoccupante.
Ecco l'importanza, quindi, di lavorare alla propria creatività almeno tanto
quanto si lavora alla propria tecnica, alla propria promozione o alla produzione
di immagini.
Capacità di ognuno, che il fotografo valorizza
Così come le altre funzioni ed abilità cerebrali, anche il processo creativo
è una capacità di cui tutti dispongono.
Ovviamente, così come avviene per
tutte le altre abilità, la proporzione di questa rispetto ad altre disposizioni
è variabile, per cui esistono oggettivamente persone maggiormente propense per
natura.
Tuttavia, è falso supporre che possa esercitare in maniera efficace questa
funzione solo chi è "creativo", così come non parlano solamente gli
oratori di professione.
Nella nostra cultura, tuttavia, si tende a non dare peso e a non sviluppare
l'abilità del processo creativo, se non in poche persone, apparentemente più
portate.
Così, una funzione estremamente importante e decisiva come quella della
creatività viene tendenzialmente soffocata, mentre potrebbe dare un
significativo aiuto a tutti.
Il primo errore da evitare, dunque, è quello di pensare di non essere creativi,
di non essere portati e, quindi, che la cosa possa non riguardare sé stessi.
È falso, così come sarebbe stupido non parlare - comunicando agli altri - solo
perché esistono persone che sono maggiormente portate a farlo. La parola ed il
linguaggio, e come esse la creatività, si imparano, si usano, si sviluppano.
Nessuno è "esperto" di creatività, e tutti al contempo lo sono.
Non si può essere esperti nel senso vero del termine perché non si sa, in
partenza, cosa esattamente si sta cercando, quando si produce qualcosa di
creativo; quello che caratterizza l'invenzione è che non si conosce esattamente
l'oggetto della ricerca: se lo si conoscesse lo si sarebbe già trovato.
La molla sta tutta nella disponibilità - in buona parte volontaria - a mettere
in relazione fra loro fattori di mondi ed esperienze diverse. Accostare,
cioe', elementi apparentemente incongruenti.
Intelligenza e creatività
Ecco un altro luogo comune in agguato.
Principalmente, l'inghippo sta nella definizione di "intelligenza" che
si tende a dare.
Condizionati da intere generazioni orientate a sviluppare
l'intelligenza logica, si è finito con l'identificare questa particolare
abilità (e cioè quella del pensiero logico, consequenziale) con l'intelligenza
stessa.
Ne sono un esempio i test per la determinazione del quoziente intellettivo, od
alcuni screening simili, teoricamente diretti alla misurazione
dell'intelligenza, ma quasi completamente occupati alla valutazione della
capacità logica.
Ora, il creativo utilizza un tipo di capacità che, tendenzialmente, la nostra
cultura tende a soffocare. Si tratta di quello che da alcuni viene definito come
"pensiero orizzontale", contrapposto al "pensiero
verticale", caratteristico invece della logica consequenziale.
Un eccellente esempio di pensiero verticale è quello caratteristico dei
computer: la linearità, l'affidabilità, la certezza nell'evoluzione della
logica di un programma ben concepito è assolutamente ferrea. Non è ammessa -
per insita natura del normale processo di elaborazione - la deduzione non logica
(fanno parzialmente eccezione i computer di nuova generazione, basati sulla
logica "fuzzy").
Il creativo può possedere questo tipo di abilità (la logica consequenziale) o
no; non ha reale importanza, dato che si tratta di due abilità cerebrali
distinte.
Tendenzialmente, si tende a coltivare fin dai primi anni scolastici la
predisposizione per la logica, specialmente negli individui in cui è stata
scoperta una certa predisposizione alla logica consequenziale (pensiero
verticale): lo si incoraggia a proseguire studi matematici, informatica, materie
analitiche, eccetera.
Tuttavia, per effetto della nostra cultura, al contempo
non ci si dà nessuna pena di sviluppare anche la capacità legata al pensiero
orizzontale, e cioè il processo creativo. È per questo motivo che molto spesso
le menti analitiche, rigorosamente consequenziali, appaiono meno creative di
altre.
Non tanto perché un'abilità escluda l'altra: piuttosto, la tendenza è
quella di sviluppare e coltivare, o l'una o l'altra, in modo esclusivo.
È come se, scoprendo una certa abilità per lo sci, non ci si sforzasse mai di
imparare a nuotare.
Anche se si tratta di due attività completamente diverse,
non è assolutamente detto che chi pratica con successo una delle due non possa
fare altrettanto con l'altra.
Non occorre, quindi, avere un quoziente intellettivo particolarmente elevato per
essere creativi, così come non è assolutamente vero che il creativo - per sua
natura - debba essere illogico ed incapace di un ragionamento lineare.
È invece vero che in qualsiasi campo ove occorra la logica (medicina,
matematica, informatica, analisi dei problemi, eccetera) eccellono notevolmente
sugli altri coloro che, oltre all'abilità "base" della logica,
possiedono e coltivano l'abilità al pensiero creativo.
In fotografia avviene la stessa, identica cosa: essere tecnici capaci, bravi
venditori di se stessi, profondi conoscitori del settore, efficaci analisti
delle necessità del cliente, rappresenta un eccellente punto di partenza. Ma la
vera chiave di volta, il vero elemento in grado di potenziare queste conoscenze
ed abilità resta sempre e comunque la creatività.
Creatività e cultura
Altro luogo comune: il creativo è incostante, quindi superficiale, quindi
raramente colto, se non nel suo settore specifico.
È una delle affermazioni più false ed incomplete che possano essere formulate
sulla figura del creativo.
In realtà, come si vedrà in tutte le implicazioni concrete affrontate più
avanti, il fotografo creativo deve avere - o sviluppare con la volontà - una
cultura il più possibile vasta, ed una curiosità continua per tutti gli
aspetti che lo circondano.
Di fatto, non è certamente l'istruzione scolastica o formale a sviluppare - in
sé - la creatività per immagini. Spesso, anzi, nei curricola scolastici
classici la formazione all'immagine ed ai suoi impieghi creativi è decisamente
scarsa.
In realtà, tuttavia, i fotografi che si espongono a scarsi stimoli culturali
hanno a disposizione pochissimo materiale da rielaborare, e tendono a riproporre
sempre le stesse chiavi di lettura.
Di conseguenza, immagini con uno stile
riconoscibile, scontato, facilmente superate, o superabili, dalla concorrenza.
Che si tratti di fotografia di reportage, pubblicitaria, di matrimonio, di moda,
o qualsiasi altro settore, è di importanza vitale sviluppare la curiosità
intellettuale - e conseguentemente, la propria cultura - sul maggior numero di
campi possibili.
Come l'età influisce
Il trascorrere degli anni genera delle stratificazioni di convenzioni, di timori
e di disillusioni che rallentano nella quasi totalità dei casi il processo
creativo.
È quindi un grave errore - o per lo meno va valutato in tutta la sua portata -
il fatto di soffocare la propria vena creativa nei primi anni di attività,
dicendo a sé stessi che si stanno semplicemente gettando le basi per una
professione sicura, e che in un secondo momento si passerà alla fase creativa.
Sulla carta, infatti, questo procedimento appare incontestabile: dapprima ci si
affermerebbe in modo tradizionale, poi ci si concederebbe il lusso di varianti e
voli creativi.
Le insidie di questo modo di procedere sono due:
a) Non è assolutamente detto che tarpando le ali alla propria creatività si
abbia il successo. Spesso, nella libera professione fotografica, è vero il
contrario, dato che il conformismo e l'imitazione significano uniformità e
quindi poca possibilità di essere notati fra i molti concorrenti.
b) Il trascorrere degli anni fa diminuire il desiderio di innovazione in sé
stessi, ed aumentare la tendenza al cinismo; l'idealismo si stempera e, con esso
- purtroppo - anche una parte della capacità spontanea di stupirsi e di godere
delle piccole cose. In una parola, nella maggior parte dei casi si riduce la
potenzialità spontanea sulla quale è semplice innestare una produzione
creativa fotografica. Il processo creativo è sempre possibile, ma di solito
costa più fatica.
Creativo: uomo o donna?
A dispetto del fatto che l'organizzazione della nostra società non ne favorisca
l'applicazione lavorativa, la creatività sviluppata delle donne è mediamente
molto maggiore di quella maschile.
Sempre mediamente parlando, nei processi cognitivi e mentali in genere,
l'acquisizione e l'elaborazione non per logica consequenziale, ma per
"pensiero orizzontale" è una prerogativa principalmente femminile.
Di fatto, le donne fotografe sono in minoranza, ma non tanto per una
minor predisposizione (anzi, è vero il contrario), quanto per una serie
concomitanti di fattori sociali che tendono a demotivare le donne sul percorso
di attività lavorative nelle quali siano necessari molti anni di incerti, e con
una notevole dose di insicurezza sul risultato.
Se questi fattori (pregiudizi sociali, matrimonio con conseguente ritiro dal
lavoro, nascita e crescita dei figli, tendenza a lasciare la
"carriera" al maschio, minor predisposizione al rischio professionale,
eccetera) avessero un'incidenza inferiore, le fotografe di successo sarebbero
notevolmente di più, e darebbero molto piu' filo da torcere ai concorrenti maschi.
Negli ultimi anni (in cui la diffusione del digitale ha spostato la fotografia
sul fronte creativo piu' che su quello tecnico) il numero di professionsite
donne e' aumentato enormemente.
La fotografa donna abbia consapevolezza di ciò: nella maggior parte dei casi,
esiste una predisposizione fisiologica e neurologica alla maggior abilità
creativa, presa in paragone con quella del sesso maschile.
Il fotografo maschio deve tener presente che può essere estremamente utile parlare
delle proprie immagini e delle proprie idee anche e soprattutto con donne, per
quanto concerne l'aspetto creativo.
Ovviamente, l'ideale è un'interlocutrice
che sia addentro al mestiere; tuttavia, anche il chiacchierare con altre persone
extra-settore può essere utile in molti casi proprio come fonte di spunti non
ovvi.
Un elemento piuttosto interessante è il fatto che negli ultimi anni la linea di
tendenza si e' visibilmente invertita; mentre fino a qualche anno
fa l'accesso alla professione era un fatto tipicamente maschile (il
"fotoamatore evoluto" prendeva coscienza del fatto che gli potesse
convenire iniziare a vendere qualche immagine, e passava al semi-professionismo,
poi al professionismo), ora fanno ingresso nel mestiere di fotografo - sia dalle
scuole, sia come assistenti - un numero sempre più elevato di creativi puri,
che sono arrivati alla fotografia non tanto per un percorso tecnico, da
fotoamatore, quanto - sempre di più - per utilizzare la fotografia come un
mezzo di espressione del loro animo e dei loro sentimenti.
Fra queste nuove leve
di creativi puri, che iniziano i percorsi professionali anche in modo totalmente
sganciato dalla tecnica e dalla tecnologia, si trovano sempre più ragazze e
donne, che popolano le file dei nuovi operatori non nuove figure,
spiccatamente artistiche, fino a non molto tempo addietro poco visibili e poco
spendibili.
Non tener conto di questa linea di tendenza potrebbe essere un errore davvero
pericoloso.
Creatività per il cliente
Quello che è importante considerare è la propria capacità e disponibilità ad
usare la vena creativa sul lavoro non per fare i fatti propri, ma per aiutare i
clienti a risolvere i loro problemi, e per narrare in maniera efficace la gioia
e la festa degli sposi.
È questa la profonda differenza fra un creativo dissociato (quel tipo di
personaggio che ha generato i luoghi comuni negativi sulla figura del creativo)
e quello che sa essere d'aiuto.
La creatività è un'abilità come un'altra, in parte insita ed in parte
acquisita con l'esercizio. Come la forza fisica.
Ma con la forza fisica si può spaccare tutto, sfoggiando potenza ma scarsa
progettualità; oppure si possono costruire cose, spostando pesi che altri non
riescono a sollevare.
È esattamente quello che capita per la fotografia creativa: si può dare
sfoggio di altissima creatività, tuttavia perfettamente inutile; oppure, ci si
può divertire e dare sfoggio di alta creatività, ma usando questa abilità per
qualcosa di concreto e, se vogliamo essere venali, anche di vendibile.
Cosa può bloccare la creatività / come sbloccarla
Passiamo in breve analisi questi aspetti negativi: se in uno o più di essi si
riconosce un blocco alla propria creatività, è bene procedere subito a far
qualcosa per eliminare o almeno diminuire quei fattori di resistenza.
a) La paura che la propria produzione di immagini - così come piacerebbe farle
- sia considerata una stranezza, e che sollevi più critiche che complimenti.
Si
tenga presente che, in realtà, la stranezza è un modo per non passare
inosservati. L'importante è che queste soluzioni al di fuori del normale non
vengano imposte come unica capacità espressiva, ma presentate all'interno di
una rosa di soluzioni di vario genere, dalla più consueta alla più innovativa.
In altre parole: limitarsi a produrre servizi fotografici matrimoniali di taglio
innovativo, trasgressivo, inconsueto, ottiene l'effetto di farsi ricordare come
persona differente dagli altri, ma molto spesso riduce la cerchia di possibili
clienti ad una minoranza davvero troppo esigua. Invece, accostare - ad una
produzione classica e tradizionale - soluzioni d'avanguardia, di ricerca e di
"sfida", rappresenta la soluzione intermedia preferibile, perché in
questo modo si ottiene contemporaneamente il risultato di farsi ricordare per la
propria validità espressiva, e comunque di non farsi "tagliare fuori"
dal mercato.
b) Il desiderio di avere uno stile fotografico paragonabile a quello di un
grande nome: fotografare alla maniera di Avedon, avere lo stile di Barbieri, la
tecnica di Glaviano, la grinta di Newton, e così via.
Pessimo approccio, per sviluppare un proprio modo di essere.
È vero che molti clienti, per risparmiare denaro e per loro incapacità di
immaginare atmosfere diverse, chiedono di fare una fotografia "alla"
Newton, "alla" Sarah Moon od "alla" Avedon, ma occorre saper
distinguere fra quello che il cliente chiede in esplicito - e che bisogna saper
dare - e quello che si deve proporre spontaneamente come novità, che non deve e
non può mancare al fotografo che desideri emergere.
c) La tendenza a proporre soluzioni fotografiche che piacciono principalmente a
se stessi, presentandole e forzandole come se fossero la soluzione alle
necessità del cliente, che in realtà non sono state analizzate con
obiettività.
È il rischio che si corre, per capirsi, quando si è appena scoperta una nuova
tecnica creativa e, ansiosi di darne una concreta applicazione, si tende ad
infilarla in qualsiasi realizzazione che venga commissionata, a meno che non
"faccia a pugni" con il soggetto. Tuttavia, il fatto che quella
soluzione sia accettabile non significa necessariamente che sia la migliore.
Occorre riuscire a non innamorarsi eccessivamente delle proprie idee, a meno che
non siano sorte, generate e sostenute dalle indicazioni delle necessità del
cliente.
d) L'incapacità di VIVERE umanamente in modo pieno le giornate e le settimane;
non è possibile sentirsi attivi solo correndo dietro alle diecimila incombenze
materiali che il mestiere del fotografo porta con sé: occorre ritagliare
momenti per pensare, per divertirsi, per studiare, per parlare con gli altri,
per leggere.
Se ci si rende conto che tutte le giornate passano per la ripresa
telefonarealcliente andareinstudio farelefatture masterizzareicd
metterelabenzina rifareloscatto spostareilpannello cambiareilfondale
chiamareacasa photoshopparegliscatti mangiarequalcosa fareiconti andareadormire,
ebbene è decisamente giunto il momento di cambiare qualcosa, forzandosi a
farlo, se è necessario. Altrimenti, la capacità creativa verrà uccisa ogni
giorno di più, e non solo essa.
Il sintomo peggiore - davvero preoccupante - di questa situazione è questo: si
sa benissimo di dover cambiare e fare qualcosa, ma ci si dice che non se ne ha
il tempo. Lasciare perdurare questo stato di cose è l'inizio della fine.
e) La paura di sbagliare. Molto di sovente non si tentano strade nuove perché
per fare qualcosa si ha la sensazione di dovere sapere come si fa.
In campo fotografico, è un presupposto molto rischioso. È vero che una buona
conoscenza della tecnica è indispensabile, e che è molto difficile esprimere
la propria creatività se non si hanno le conoscenze tecniche per farlo.
D'altronde, anche se non ci si deve mai fermare nel tentativo di imparare cose
nuove (curiosità innanzitutto, e per tutto), è anche vero che è
indispensabile saper sbagliare, ed imparare dagli sbagli.
La frenesia del "know how" è un'immonda sciocchezza: attendere che
per tutto ci sia qualcuno dica come si fa, significa non buttarsi in quella
serie di tentativi sperimentali che - se hanno una buona conoscenza tecnica alle
spalle - sono il presupposto non solo per imparare tecniche nuove, ma anche per
inventarle.
Ed inventare tecniche personali è il modo migliore per distinguersi dalla
massa.
f) La convinzione che o si è creativi fino in fondo, su tutto, o non lo si è
per nulla.
Si tratta di una convinzione vera come quella di chi pensi che si deve essere o
forte come Maciste o cagionevole come Giacomo Leopardi; perché mai non dovrebbe
esistere la via intermedia?
Perché il fotografo dovrebbe cercare di essere creativo solo se il suo
portfolio è un costante schiaffo alla normalità, solo se si rifiuta di fare
fotografia di cerimonia, solo se muore di fame piuttosto che essere banale?
Perché non ammettere la possibilità di essere creativi e sensati, creativi e
disponibili, creativi e disposti ad utilizzare la propria creatività per dare
una mano ai clienti ed agli sposi?
Insomma, perché non: fotografi creativi ma persone disponibili?
g) Il fidarsi troppo di come le cose sono andate in precedenza.
È vero che è sempre utile basarsi su quanto si è già vissuto, ma - per dirla
con Platone - è anche vero che "l'esperienza toglie più di quanto non
aggiunga".
Di fatto, le condizioni cambiano; pensare che una soluzione promozionale od uno
stile fotografico continuino ad andare ben perché "hanno sempre funzionato
benissimo" è una mossa istintiva, ma stupida. Il fatto che un orologio
abbia funzionato perfettamente per trent'anni non è motivo per negare che
adesso sia indietro di dieci minuti, se lo è. Anzi, proprio perché ha
funzionato bene per tanto tempo, è sensato aspettarsi che cominci a funzionare
male.
Fuor di metafora, se un certo modo di fotografare ha fatto la fortuna di un
fotografo per vent'anni, non sta scritto da nessuna parte che quel modo
"funziona". L'unica certezza è che "ha funzionato", il che
non ci dice nulla su quanto si dovrà fare da qui in poi. Il rischio è dunque
quello di incaponirsi su soluzioni ampiamente sperimentate e come tali ritenute
oramai infallibili; così, si insiste ad applicarle, correggendo altri aspetti
che invece non hanno alcuna colpa, nel tentativo di trovare cosa non vada in
questi ultimi.
h) Valutare le idee e le proposte solo, o principalmente, sul piano economico.
Se nasce una buona idea (un reportage interessante, una ricostruzione di set
complessa, un lavoro di ricerca iconografica approfondito, eccetera), la
tendenza a considerare da subito l'aspetto economico è un serio problema.
Infatti, per quanto buona l'idea potrà essere ancora solo nascente. A questo
stadio è possibile, anzi probabile, che sia carente proprio sul piano della
corretta gestione e, quindi, appaia poco conveniente. Se le idee vengono segate
sul nascere perché ad una prima considerazione sembrano poco lucrose, sono ben
poche quelle che possono restare in piedi.
Pur senza arrivare ad innamorarsi testardamente anche delle minchionate, e
quindi conservando la disponibilità ad accantonare un'idea fotografica quando
si riveli davvero antieconomica, è indispensabile mantenere viva almeno l'idea
finché non si sia avuto modo di valutarne con un poco di calma anche gli
aspetti pratici.
Una bell'idea sul piano creativo può apparire, di primo acchito, non
conveniente. Ed in questo stadio, probabilmente, lo è: manca il cliente,
avrebbe un costo eccessivo, non ci sarebbe tempo per organizzarla, e così via.
Senza cestinare subito questa idea, la si annota in un proprio block notes di
idee fotografiche in sospeso: può darsi che, col passare del tempo e tornando
di tanto in tanto a considerare quel progetto, vengano in mente altre soluzioni,
o si aggiungano altri elementi, che offrono la soluzione anche sul piano
economico.
Procurarsi creatività con la fatica
Questo titoletto sembra suonare male.
Proprio per il fatto che questo aspetto ha un apparenza sgradevole, è
abbastanza raro imbattersi in fotografi di buon livello creativo, e che sappiano
porre questa abilità al servizio della clientela e, quindi, del proprio
successo come professionisti.
La creatività, al pari delle altre abilità mentali, può essere presente come
dono di natura in misura maggiore o minore, e questo è un fatto.
Ma altrettanto incontestabile è che - indipendentemente dalla predisposizione -
le possibilità creative nelle loro applicazioni fotografiche possono essere
esercitate ed amplificate, oppure lasciate languire.
È una mistificazione bella e buona quella di coloro che affermano che le valide
idee, comprese quelle fotografiche, vengono unicamente in forma di illuminazioni
improvvise, di lampi di genio, di ispirazioni.
È una mistificazione perché non accenna ad una prima parte del processo: lo
studio del problema e la preparazione all'idea.
È vero che la dinamica con la quale sorgono le buone idee spesso è repentina;
mentre si sta facendo altro, la soluzione salta fuori improvvisa. Ma è
altrettanto vero che l'ispirazione NON viene dal nulla, ma si forma - quasi
inconsciamente - sulla base di un input di esperienze generali e di analisi del
problema in specifico.
Questo lavoro preparatorio non è evitabile, a meno di non accontentarsi di
pochi sporadici lampi di genio, buoni forse per un fotoamatore, ma assolutamente
insufficienti per chi della creatività fotografica faccia un mestiere, che
tutti i giorni debba produrre.
La realtà è che, per dare un'accettabile consistenza alla propria creatività,
non esiste modo di evitare la fatica.
Si tratta di una fatica mentale che può essere allegra (anzi, più
è allegra, più funziona).
La pigrizia mentale, comunque, resta il peggior nemico.
Quel fotografo di matrimonio il cui lavoro sia banale e noioso non è poco
creativo perché fa fotografia di matrimonio (settore fotografico, anzi, molto
ricco di possibilità artistiche), ma perché è pigro.
E così si rischia sotto sotto di pensare, magari senza ammetterlo: Dato che i
servizi matrimoniali si vendono abbastanza anche se sono dei reportage pulitini
pulitini, o se li si accompagna con i soliti due o tre trucchetti per foto
romantiche, perché mai darsi pena di pensare altre soluzioni?
Questa è pigrizia mentale, ed è il più temibile antidoto contro la
creatività.
Il fotografo di still life che non arricchisca il suo portfolio se non con i
lavori che i clienti gli ordinano di eseguire, commette lo stesso errore.
Certamente, la clientela gli chiede sempre lo stesso genere di fotografia,
tecnicamente pulita, veloce, soprattutto economica; nessuno mai gli commissiona
foto creative; "Quindi" - e questa è la deduzione errata -
"perché darsi pena per inventare cose nuove, che nessuno mi chiede?"
Il motivo è quello di combattere la pigrizia mentale, che lentamente,
inavvertitamente, lascia che il proprio mestiere scivoli nei soli canali
tracciati dalla routine.
All'interno di questi grigi binari, ovviamente, non ci
si imbatte mai in richieste di operazioni creative, perché non si chiede ad un
fotografo "piatto" nessun guizzo innovativo, così come non si chiede
ad un ronzino di vincere una corsa all'ippodromo.
Ma, mentre il ronzino non può far nulla per divenire un cavallo da corsa, il
fotografo può notevolmente migliorare la sua posizione.
Concretamente, ci si troverà in molti casi nella situazione di non avere idee
per risolvere un dato problema fotografico.
Le due strade assolutamente da evitare sono anche quelle più facili: o
applicare sempre le solite soluzioni, già sperimentate migliaia di volte
(pigrizia mentale), oppure attendere indefinitamente che l'ispirazione si faccia
avanti, lamentandosi per il fatto di non essere creativi (vittimismo passivo).
In ogni caso, il fotografo professionista creativo (cioè quello che crea non
solamente per il suo piacere, ma anche per professione, e quindi tutti i giorni)
deve combinare la sua gioia di lavorare e la sua inventiva con la componente
indispensabile dell'impegno concreto, della fatica e della testardaggine.
Come diceva T.A. Edison, "Il genio è ispirazione all'uno per cento, e
traspirazione al novantanove per cento".
Il pensiero "fuzzy"
La lingua e la logica orientale hanno una loro struttura intima piuttosto
differente dalla nostra.
Anziché procedere per asserzioni e negazioni, con schemi assoluti e rigidi
(come è la logica occidentale), sono basate in misura molto maggiore sulle
sfumature, sulle lievi differenze di senso che, combinate insieme, "rendono
l'idea", piuttosto che incasellare un concetto.
Una parte della difficoltà a comprendere pienamente le rispettive culture, ed
uno dei motivi che rendono le lingue orientali piuttosto ostiche ad un
occidentale, sono proprio costituiti da questa differenza: una logica - quella
orientale - molto più basata sull'intuizione e l'interpretazione, che non sulla
dinamica consequenziale.
Già si accennava alla differenza sostanziale fra pensiero cosiddetto
"verticale" (logica consequenziale, da noi accettata come unica via
logica e, dunque, incoraggiata) e fra pensiero "orizzontale" (logica
intuitiva e combinatoria, da noi vista spesso come deviazione irrazionale e,
dunque, repressa o comunque non coltivata).
Qualche esempio per meglio comprendere.
Nella sequenza numerica: 16, 32, 64, 125, la cifra "fuori posto" è
l'ultima.
Il procedimento per pensiero "verticale" individua
quest'ultima come errata perché non è, come le precedenti, il doppio di quella
che precede.
Un procedimento "orizzontale", invece, e cioè non strettamente
consequenziale, la può indicare come fuori posto perché è di tre cifre
anziché due, oppure perché è dispari invece che pari; affermazioni
innegabili, ma che nella nostra cultura verrebbero indicate come risposta
"sbagliata".
E perché: "sbagliata"?
Semplicemente perché non segue il modo di pensare che per secoli il Vecchio
Mondo europeo ha sviluppato.
Tuttavia, la logica da noi più comune, quella "verticale", non è
l'unica via da percorrere; è semplicemente quella più diffusa, quella più
accettata, quella che normalmente viene insegnata nelle scuole, reprimendo gli
altri procedimenti logici.
Dal settore dell'informatica viene un altro esempio molto calzante.
Chiunque abbia un minimo di esperienza nella programmazione di un computer sa
come, in ogni caso, il processo di elaborazione - basato appunto su una logica
di assoluta contrapposizione di "vero-falso" - non ammette nessuna
deviazione da un percorso obbligato.
Di fatto, la logica dell'elaboratore è quanto di più verticale e
consequenziale vi sia in termini di "pensiero". La micidiale
ostinatezza e stupidità della macchina in sé rende bene l'idea delle
potenzialità e dei limiti di questo tipo di logica: enormi capacità, se tutto
va come previsto o come logicamente dovrebbe andare; assoluta inettitudine se
viene cambiata anche una sola virgola.
Alla base di tutto…
Per ovviare a questo problema e per giungere ad intelligenze artificiali più
versatili, proprio in Giappone (forse grazie alla loro cultura) si sta da anni
lavorando allo sviluppo di elaboratori e software basati sulla cosiddetta
"fuzzy logic", cioè logica indeterminata, confusa; questo genere di
elaboratori consente un procedimento logico estremamente più flessibile.
Sembra un controsenso, per la nostra cultura: come può una logica essere
indeterminata?
Eppure, è proprio su una base di questo genere che si basa il modo di pensare
specialmente dei popoli orientali; è infatti su una base di questo genere che
si basa gran parte del funzionamento del nostro cervello (da noi spesso
censurato), che ci da la possibilità di ABBINARE FRA LORO INFORMAZIONI
DISOMOGENEE, ottenendo così scelte, soluzioni ed idee creative, intuitive.
È QUESTO il grande segreto non solo del pensiero "fuzzy" ma anche e
soprattutto e della logica creativa, "orizzontale": il sapere
accostare e fondere fra loro le informazioni di mondi apparentemente distanti
fra loro. In una parola, il saper fare, con intelligenza, quello che fin dai
banchi di scuola veniva proibito: "Non puoi sommare le pere con le
mele".
E invece non è sempre vero.
Tutto quello che c'è di creativo si basa, in realtà, proprio su questo
processo.
Le barzellette e le situazioni che fanno ridere sono sempre basate proprio
sull'incongruenza, e cioè sulla soluzione inaspettata, non logica, di un
ragionamento iniziato come consequenziale.
Lo stesso dicasi per le forme sia letterarie che rappresentative dell'ironia.
Le stesse immagini poetiche sono basate sempre sull'accostamento di idee e di
concetti non strettamente consimili, ma semplicemente affini; la similitudine
non è altro che un'immagine del pensiero "fuzzy", che mette in
relazione cose fra loro distanti e percepite simili fra loro per un qualche
elemento secondario.
È questo il motivo per cui le poesie ed i testi delle canzoni, spesso
emozionali e non razionali, piacciono a chi li percepisce con animo creativo, e
sembrano delle incredibili sciocchezze a chi cerca di leggerne il contenuto in
chiave di pensiero verticale.
Si può dire che un testo di poesia sia privo di logica? Tutt'altro, ha una sua
altissima capacità di comunicazione, ma con un modo di trasmettere che non è
quello del listato del programma da elaboratore.
Tutte le figure retoriche, che rendono interessante ed avvincente un discorso,
si basano sull'utilizzo di soluzioni traslate o comunque accostate da due
registri o da due modi di procedere differenti.
Ancora: un quadro di un artista impressionista o macchiaiolo è, anch'esso,
l'effetto della combinazione di elementi non certi, apparentemente distanti fra
loro, ma che - accostati - ricostruiscono un loro racconto ben preciso, anche se
non pedantemente consequenziale.
(Una parentesi: conoscere l'impressionismo in pittura è quasi un dovere per un
fotografo che non voglia limitarsi ai gradini più banali del suo mestiere).
Gli stessi campi della fisica, della chimica, della matematica, della medicina e
delle scienze in generale devono le maggiori scoperte proprio alla capacità di
alcuni scienziati di combinare fra loro aspetti apparentemente non collegati,
scoprendo così - con un procedimento creativo - dei nessi che non erano
immediatamente evidenti, perché non necessariamente consequenziali.
In sostanza, non esiste campo delle attività umane nel quale non si scopra che la creatività è, principalmente, basata sulla capacità di accostare fra loro informazioni e dati apparentemente distanti, apparentemente relativi a sfere differenti.
Quali le implicazioni concrete?
Il fotografo creativo deve re-imparare a "sommare le pere con le
mele", o deve sviluppare questa capacità, se già la possiede.
Deve vivere un'intensa vita personale, con la maggior curiosità possibile per
tutto quello che lo circonda, perché tutto serve da spunto per produrre un
lavoro fotografico che si stacchi dal grigiore e dalla banalità della massa dei
fotografi.
E fare questo non tanto nella convinzione di essere un artista nel senso
esclusivo del termine, ma piuttosto col desiderio di offrire questa sua
curiosità frizzante come aiuto per i suoi clienti, per risolvere le loro
necessità ed esigenze.
È un'esperienza divertentissima, che può cambiare la propria vita
professionale e personale.
Come se fosse...
Come è risaputo, fra i normali spunti che ispirano la pubblicità si trovano
gli avvenimenti della vita di tutti i giorni; amplificate, idealizzate,
modificate e ritoccate ad uso e consumo della comunicazione, sono proprio le
situazioni che ci si trova ad affrontare normalmente (o che si vorrebbero
vivere) a fungere da ispirazione per la maggior parte degli spot pubblicitari.
I direttori della fotografia, i creativi ed i fotografi pubblicitari attingono
dunque dalla vita di tutti i giorni, ne idealizzano alcuni aspetti e la
propongono per immagini.
Esistono migliaia di fotografi, tuttavia, che dedicano la loro abilità alla
documentazione della vita di tutti i privati cittadini, descrivendone i giorni
importanti: cerimonie, matrimoni, battesimi, ritrattistica, e tutta la
fotografia realizzata per clienti privati.
Ora, se tutti gli operatori della pubblicità si ispirano costantemente alla
vita di tutti noi, perché mai i fotografi professionisti che documentano la
vita di ciascuno non dovrebbero trarre ispirazione dalla pubblicità? E dai
redazionali? E - forse soprattutto - dai videoclip?
Di fatto, in numerosi casi, l'immagine pubblicitaria o editoriale o filmica non è altro che
un'idealizzazione espressiva di aspetti e sentimenti comuni; qualcuno esperto in
comunicazione, cioè, ha lavorato per tradurre in immagini efficaci delle
sensazioni e degli stati d'animo comuni a tutti.
Perché mai non attingere da questo grande lavoro già eseguito?
Perché, in buona sostanza, noi fotografi di cerimonia dovremmo trarre
ispirazione solamente dalle immagini di altri fotografi di matrimonio, anziché
dalle immagini pubblicitarie o delle riviste, e non solo quelle di moda? Dai
redazionali? Dalle affissioni? Dai video musicali?
Se sei arrivato a leggere fino a qui, e stai ancora leggendo - beh, si potrebbe
scommettere sul tuo successo, gia' constatato o pronto per emergere, di sicuro,
nei prossimi anni. Questo perche' il fotografo matrimonialista "militare di
truppa" mai e poi mai avrebbe dedicato tanto tempo, tanta attenzione, tanta
testa e tanto cuore per leggere delle argomentazioni apparentemente astratte
come queste. Se invece le stai leggendo, sei di tre o quattro spanne al di sopra
della massa dei fotografi concorrenti, ed e' quindi altamente probabile che - a
parità di altre condizioni - tu abbia la capacita' di surclassare i concorrenti
piu' banali. Innanzitutto, complimenti: sei parte di una ristretta elite... Se
poi credi che possa servirti, possiamo mandarti per email un file di altre
considerazioni utili, che non pubblichiamo qui... una lista di metodi concreti
per generare idee, una sorta di piccolo riassunto di soluzioni maieutiche. Se ti
interessa, manda un'email con soggetto "ciao! mandatemi il testo per
generare idee", inviando l'email alla casella associazione @
fotografi.org (ovviamente, vanno tolti gli spazi prima e dopo la chiocciola, che
sono stati messi per ridurre lo spamming).
Tornando, dopo la digressione, al tema di questo paragrafo, va considerato che le stesse persone che si sposano e che richiedono l'album sono quei
cittadini che guardano le pubblicità e leggono le riviste; non è vero che il
gusto dei privati non sia abbastanza affinato da apprezzare questo genere di
immagini. È invece vero che occorre saper comprendere i gusti di ciascuno, per
trasporre di volta in volta queste proprie capacità secondo i desideri del
cliente, e non solo i propri.
Le puntate precedenti:
a) In genere, sulla professionalita' nel campo della cerimonia
b) Il posizionamento professionale
d) gli aspetti collegati alla concorrenza a prezzi molto contenuti
questi testi sono stati redatti da roberto tomesani per associazione nazionale fotografi professionisti - tau visual